Dicesi
“ciclotimia” un disturbo dell'umore caratterizzato
dall'alternanza ingiustificata tra periodi di depressione e torpore
letargico e periodi di iperattività, creatività ed ottimismo.
Curarla è difficile, perché non ne è nota la causa. Spesso persino
individuarla e diagnosticarla è complesso.
Più
passa il tempo, più guardo le partite dell'Atletico, più mi ritrovo
a domandarmi se i colchoneros siano una squadra ciclotimica:
intere partite preda di una inspiegabile apatia, come ad Astana,
seguono partite di grande vitalità e di splendido gioco, come quella
contro il Valencia.
Addirittura,
chi ha visto la partita di La Coruña
lo potrà confermare, l'Atletico cambia completamente atteggiamento,
direi quasi fisionomia, da un tempo all'altro: a 45 minuti di ottimo
livello, degni eredi della partita col Valencia, è seguito un
secondo tempo privo di qualunque spunto, di una qualsivoglia idea di
calcio che non fosse lanciare la palla in tribuna.
Anche
a Malaga, l'altro ieri, è successo (sia pur in piccolo) lo stesso:
un primo tempo in cui “è mancata l'intensità” (testuali parole
dei protagonisti) ha lasciato spazio a una seconda metà accettabile
(ma niente di più), purtroppo rovinata da una grave ingenuità di
Gabi.
Da
San Sebastian, gara oggetto del mio ultimo post, ad oggi, si sono
succedute partite di ogni tipo: vinte con merito, artigliate con
fortuna, sofferte oltre ogni dire, stravinte nel gioco ma non nel
(miserrimo) punteggio. Una varietà notevole, anche se nel segno di
un gioco che è sembrato, per lunghi tratti, convincente e bello:
Lisbona, Granada, le due in casa con Galatasaray ed Espanyol, tanto
per citare alla rinfusa.
Di
fatto, c'era di che essere soddisfatti: 15 partite senza sconfitte,
primo posto in Liga e in Champions'. Ad uno sguardo superficiale,
c'era proprio da esserne soddisfatti.
Lo
ripeto, perché sia chiaro: ad uno sguardo superficiale.
Già,
perché vi sfido a trovare una sola partita, di queste quindici, in
cui il gioco sia stato costante. Si gioca bene per mezz'ora e male
per un'ora. O il contrario. O anche solo per 10 minuti. Si segna
subito e non si combina più nulla per il resto della partita. O si
arriva davanti al portiere avversario ogni 15 secondi e si porta a
casa un misero gol. Si domina il match, si segna un gol a fatica e
poi si corre il rischio di farsi infilzare come polli al novantesimo.
Lo
so, molti non sono d'accordo col mio pessimismo e trovano conforto
nei numeri, nel primato, nei molti cambi rispetto all'anno scorso e
nella gioventù dei nostri ragazzi. Tutto vero, ci mancherebbe.
Però
ciò non toglie che la squadra una chiara identità non ce l'abbia
(siamo andati a Malaga convinti di averla ormai trovata e ne siamo
usciti con le ossa rotte), che giochi a strappi e che quasi tutti i
nostri giocatori non riescano a infilare più di tre partite di fila
ad alto livello: quando gira Griezmann, non lo fa Koke; quando Gabi,
non Gimenez; quando Saul, non Filipe (metteteci pure qualunque nome
di vostro gradimento, il risultato non cambia). E poi attaccanti dal
rendimento
pietoso; acquisti che non riescono a dimostrare il loro valore o
che, quando devono dare un segnale importante, si inabissano e
spariscono (Correa? Vietto?); altri di cui siamo in attesa da mesi
(Jackson); vecchie colonne che corrono come galline senza testa e non
la prendono mai (Fernando Torres).
Com'è
possibile, io mi dico, essere ancora a questo punto?
Uscite
per un attimo dalla logica della doppia contestazione “Il
calendario è stato difficile e la stagione finora è buona”
(certo, i numeri dicono questo e non si discute) e “Bisogna avere
fiducia nel Cholo, a lui dobbiamo tutto” (altroché!!! Chi
non ce l'ha, si compri “Atleti, de muerto a campeón”
di Rubén Uría: senza
Simeone, il club sarebbe fallito, lo sappiamo benissimo tutti.
Preghiamo perché il Cholo rimanga in eterno).
Uscite
da queste due affermazioni, tanto profonde e veritiere quanto,
paradossalmente, banali e generiche.
Uscitene.
E poi fatevi queste tre domande:
Pensate
veramente che, con questa media-gol asfittica (poco più di un
gol a partita), possiamo veramente vincere la Liga e/o la
Champions'?
La
colpa di tutto ciò è solo della scarsa forma degli attaccanti o
anche di una squadra che spesso se ne sta ripiegata su se stessa?
Tra l'altro, qualcuno è riuscito a capire se questo capita per
volere di Simeone o per eccesso congenito degli undici in campo?
Perché alcune volte è sembrato quasi che i giocatori fossero più
realisti del re...
Avete
notato che la squadra è sembrata più sciolta proprio quando, a
causa dell'infortunio di Tiago, Simeone è stato costretto a venire
meno al suo credo e a far giocare, insieme a Ferreira-Carrasco,
un Saul e/o un Oliver decisamente meno apprezzati del
portoghese per la loro inferiore disciplina tattica? Tra l'altro, la
squadra fin da agosto sembra aver perso alcune caratteristiche
peculiari del Cholismo (la terribile efficacia sottoporta,
l'abilità nei calci piazzati, una fisionomia ben precisa di gioco),
senza aver guadagnato nulla dall'iniezione di tecnica e gioventù di
quest'estate.
Qui
non si tratta più di aver fiducia o riconoscenza nel Cholo,
a mio parere. Ne ho in abbondanza, come questo blog dimostra (il che
non significa accettare acriticamente ogni cosa che fa). Tra
l'altro, non dimentico mai un paio di dettagli: pagano lui per fare
l'allenatore, non me (e lui ne sa di più); vede i ragazzi tutti i
giorni in allenamento, io no.
Qui
si tratta di guardare in faccia la realtà. Signori, non
nascondiamoci dietro a un dito: questo è l'anno in cui decidere
cosa vogliamo fare da grandi. E non si diventa grandi con un
gol a partita, con Gabi come perno del gioco o con Fernando Torres
come attaccante centrale. Ma non è neppure (solo) una questione di
nomi: è questione di identità di gioco, di bravura nel cogliere le
occasioni, di capacità di intimidire gli avversari non solo con la
ferocia agonistica ma anche grazie alla abilità tecnica.
La
vera domanda, io credo, è questa: vogliamo che questo sia il nostro
massimo, o crediamo fermamente che possiamo spingerci oltre?
Ognuno
ci pensi su e dia la propria risposta e, se crede, la condivida qui
sotto.
Io
vi do la mia: sono quasi trent'anni che seguo l'Atletico. In questi
trent'anni mi sono sorbito una quantità di umiliazioni infinita, dal
Gilifato a risultati sconcertanti (dicono niente nomi come Groningen
e Politehnica Timisoara? E i 14 anni senza vittorie nel derby?),
dalla gestione Rubí a
due anni di Segunda Division. Ora, grazie a Simeone (e solo a lui,
lo ripeto per l'ennesima volta), vivo qualcosa che non avrei mai
immaginato di vivere. Bene, voglio di più.
Voglio
di più e mi domando perché non dovrebbe essere lecito.