martedì 20 maggio 2014

Barcellona – Atletico Madrid 1-1: iiiCampeones!!!


Me siento mejor con problemas
que cuando las cosas están tranquilas”
Diego Pablo Simeone


Maggio 1996. In ritiro a Los Angeles de San Rafael, i giocatori dell'Atletico faticano a dormire, inseguiti fin dentro le loro stanze da un figuro che ripete loro in continuazione: “O ganamos o morimos ganando”. La litania proseguirà, raccontano, anche sull'autobus che porta i colchoneros alla decisiva sfida per il titolo contro l'Albacete. La partita finirà 2-0 e a segnare il primo gol, con un fragoroso colpo di testa su punizione dalla trequarti, sarà proprio il losco figuro, al secolo Diego Pablo Simeone.


Diciotto anni dopo, in piena isteria pre-Barcellona, un solo uomo sparge tranquillità e ottimismo tra la fila scorate dei giocatori e dei tifosi biancorossi. Sempre lui: Diego Pablo Simeone. Nelle sue parole, solo la gioia di giocarsi tutta la stagione in due gare secche, contro le due rivali storiche.


In campo, in effetti, nessuna paura. L'Atletico ha cominciato bene, imbrigliando gli avversari, pressando alto e dimostrando di poter controllare abbastanza agilmente la partita. Però, siccome siamo quello che siamo e non possiamo semplicemente vincere, alla nostra partita mancava l'ospite più affezionato, quello che non manca mai, neppure quando si cerca in tutti i modi di evitarlo: la Sfortuna.
Quindici minuti e Diego Costa, su uno scatto, si ferma e fa segno di non poter continuare. Altri sette minuti e Arda Turan, dopo un normalissimo scontro di gioco, si accascia e chiede la sostituzione.
Ventidue minuti di gioco e le due punte di diamante dei colchoneros sono costrette ad abbandonare il campo. Sono due gran brutti colpi, di quelli che stroncherebbero un bisonte.


L'Atletico, in realtà, non pare particolarmente scosso dalla mala sorte: sa che basta un pareggio e che sta giocando bene. Sa che la partita può essere condotta in porto comunque: molte volte, nel corso della stagione, è uscito indenne da situazioni ben peggiori. Per di più, gli avversari giocano lentissimi, ruminando un pallone di cui non sanno cosa fare. Qualche tiro da lontano, qualche cross senza un vero costrutto.
La partita è in perfetto equilibrio. È il momento giusto, dunque, per subire il terzo terribile colpo della Sorte: Alexis Sanchez raccoglie un pallone controllato da Messi e scaglia una folgore imprendibile nella porta biancorossa. Un tiro fantastico, va detto, ma di quelli che riescono una volta sola nella vita (e ovviamente contro l'Atletico, ça va sans dire...).




Avevamo buttato via la partita […], provai quel
terribile sentimento che avevo già provato da piccolo:
odiavo l'Arsenal, e il club era un fardello che non
riuscivo più a sopportare, ma di cui non sarei mai e poi
mai riuscito a liberarmi. […] mi sedetti, troppo stordito
dal dolore e dalla rabbia e dalla frustrazione e dall'
autocommiserazione per restare in piedi”
Nick Hornby, “Febbre a 90'”


A quel punto, in pieno sbandamento, l'Atletico è stato a un passo dal tracollo: un altro gol, e le gazzette si sarebbero riempite di elogi alla resurrezione blaugrana. O almeno così credo, perchè di quella mezz'ora non ho nessuna memoria.
Dietro a un velo di lacrime, non riuscivo a pensare ad altro che al dolore di veder svanire il traguardo proprio all'ultimo, dopo averlo corteggiato e assaporato a lungo. Non vedevo lo schermo, non udivo la telecronaca. Buio. Buio totale e lacrime di rabbia e scoramento.
Il calcio è così, pensavo. La vita è così, pensavo. Una squadra scesa in campo senza capo né coda, arrivata all'ultima spiaggia senza neppure bene sapere perchè, guidata da un allenatore inconsapevole, piena di giocatori scoppiati che andavano avanti a forza di inerzia, rischiava di vincere un campionato immeritato. E noi, noi che questo campionato ce lo eravamo sudato e guadagnato con la fatica e il lavoro, noi avremmo dovuto cedere le armi. Dov'è il merito, nella vita, se non c'è neppure nel calcio? A cosa servono anni di sacrifici, se poi basta un colpo fortunato a far pendere la Bilancia dalla parte di chi, ricco e viziato, non ha fatto nulla per meritarsi regali dalla Sorte?
Possibile che debba sempre andare a finire così, con l'Atletico? Possibile che ogni traguardo debba essere da noi meritato non una, ma due o forse anche tre volte? Non sarebbe, ogni tanto, rilassante vincere in maniera netta, chiara e immediata fin da subito?




Ma poi Alan Sunderland mise il piede sul pallone,
lo infilò dentro, proprio nella porta di fronte a noi,
e io non gridai «Sì» o «Gol» o uno di quei versi che
normalmente mi salgono dalla gola in questi momenti,
ma solo «AAAARRRRGGGGHHHH», un rumore che
nasceva da gioia assoluta e incredulità, e improvvisamente
ci furono di nuovo persone sulle gradinate di cemento,
ma stavano saltando una sull'altra, con gli occhi fuori dalle
orbite e impazzite”
Nick Hornby, “Febbre a 90'”


Stavo per chiudere tutto e andarmene altrove, qualunque cosa questo potesse significare, quando David Villa ha colpito il palo, subito in avvio di secondo tempo. Non ricordo l'azione, ma solo l'urlo del telecronista, che è penetrato, strato dopo strato, nel mio dolore, si è fatto strada tra le mie lacrime e mi ha riportato piano piano alla realtà.
Allora ho rimesso a fuoco la vista e ho visto che mia figlia, questo piccolo frugoletto cui ho fatto per mesi un lavaggio del cervello che neanche nelle peggiori dittature e che aveva passato giorni e giorni a girare per casa cantando “Aleti! Aleti!”, aveva messo sul tavolo, accanto al computer, il suo ciuccio dell'Atletico.
Doveva essere entrata mentre ero obnubilato dal dolore. D'istinto, ha fatto un gesto che non potevo non intendere come una promessa di Speranza.
Allora mi sono vergognato di me stesso, di essermi fatto vedere così. “È questo che farebbe il Cholo?”, ho pensato. “O piuttosto non combatterebbe con tutto se stesso, perchè si perde solo dopo la fine, non prima?”.
Ho guardato lo schermo e ho visto Gabi dirigersi verso la bandierina del corner. Parabola arcuata, salto di qualcuno in mezzo all'area e... la mia mente non voleva crederci... la palla era DENTRO!!!... Godin veniva travolto dai compagni!!!... ma accade veramente???... sta accadendo veramente???... è 1-1, è 1-1!!!!!! Lo diceva il Cholo!!!... Lo diceva!!!...




Thomas superò la difesa, da solo, e l'Arsenal ebbe
una possibilità di vincere il Campionato. […] e anche
allora scoprii che mi stavo trattenendo, memore dei
recenti errori rimanevo chiuso in un temprato scetticismo,
pensando, be', se non altro ci siamo andati vicini,
invece di pensare: per favore Michael, per favore Michael,
per favore mettila dentro, Dio fa che segni. E poi era lì
che faceva capriole, e io ero lungo disteso per terra,
e tutti in salotto saltavano sopra di me.
Diciott'anni, tutti dimenticati in un secondo
Nick Hornby, “Febbre a 90'”


A questo punto, vorrei dirvi di aver riacquisito tutta la granitica certezza che deriva dal Cholismo. Sarebbe bello, eh? Ma invece no.
Certo, ho stretto in mano il ciuccio comperato a Madrid e ho cullato in me la sicurezza nascosta che ormai era fatta, che dopo un Segno così non ci poteva essere sconfitta; ma in realtà sobbalzavo ogni volta che il Barcellona usciva dalla propria area. Il che vuol dire quasi sempre, visto che i colchoneros, dopo la vibrante fiammata dei primi quindici minuti del secondo tempo, ritornavano pian piano a essere schiacciati nella propria metà campo.
Stanchi, i nostri resistevano come potevano contro un Barça più velleitario che efficace: Miranda giocava come un dio greco, Godin lottava come un Ciclope, mentre Filipe e Sosa cercavano in tutti i modi di imbastire contropiedi, Gabi e Koke correvano per venti e Tiago ci metteva l'anima.


I minuti passavano e i nostri avversari, benchè padroni del campo, non creavano pericoli.
Perfetto, se non ci fosse stato quel fastidioso precedente nel primo tempo... però ora avevo il ciuccio e la Speranza, pensavo. E se subiamo un gol proprio all'ultimo minuto? Sì, ma ho il ciuccio... O magari proprio adesso, durante i minuti di recupero? Sì, ma c'è il ciuccio... O no? Ma certo!!! Certo!!!
Ed ecco il FISCHIO FINALE!!!
E i nostri eroi che si abbracciano.
E mia figlia che magicamente mi riappare accanto e guarda un po' stranita le mie lacrime di gioia.
Diciott'anni, tutti dimenticati in un secondo.




Saber perder es mucho más difícil que saber ganar. Por eso,
el triunfo de los que han perdido mucho es un tesoro más
dulce, más intenso, más heroico y duradero que cualquier otro.
La tenacidad, la lealtad, la perseverancia, la fortaleza
imprescindible para resistir la tentación de abandonar,
de desertar, de unirse a la corriente del favorito,
forja la voluntad, endurece la piel y acoraza el espíritu.
Enseña a apreciar la diferencia entre el verbo ser y el
verbo estar. Entre el verbo creer y el verbo comprar.
Entre la razón y los sentimientos. Entre la arrogancia y
el orgullo legítimo. Y, sobre todo, entre el valor y el precio.
Yo lo sé porque mi corazón, que es rojo, es también rojiblanco.


E ora, cosa resta? 
 
Gioia, gioia infinita.
Come saprete, non credevo in questo titolo, mi sembrava impossibile. E poi ne avevo già vissute tante, di delusioni, da non poterle neppure enumerare...
Però ora mi volto indietro e questo titolo mi pare il più bello, il più MIO. Se penso alle ultime tre Ligas vinte, mi sembra inevitabile: nel 1977 avevo un anno e neppure sapevo dell'esistenza dell'Atletico; nel 1996 internet era ancora in embrione e ricordo di aver visto una decina di partite al massimo su Koper-Capodistria (con l'Albacete c'ero, oh, se c'ero...). Ma qui, qui io ci sono stato: 56 partite su 61 non sono uno scherzo, no? E ben due dal vivo...
1996 – 2014: diciott'anni, tutti dimenticati in un secondo.


Leggo le parole di Almudena Grandes, tifosa biancorossa da sempre, e mi commuovo. E penso: questa volta c'ero veramente, non solo attraverso qualche partita alla TV e la spasmodica attesa dei risultati sul Guerin Sportivo.


Alzo lo sguardo sulle foto dei miei eroi dell'adolescenza appesi alla parete, Futre, Baltazar, Manolo, Schuster, Kiko, Caminero e tutti gli altri. E penso: ragazzi, scusate, ma questi qui vi hanno superato. Anche perchè io c'ero, e scusate se è poco.


Guardo le foto dei trionfi degli anni 50, 60 e 70 e mi accorgo che, di là, mia figlia canta da minuti e minuti “Diego Godin! Diego Godin! Diego Godin!” al modo del Frente Atletico. E penso: ragazzi, scusate, ma questa è storia vissuta, non letta sui libri.


E allora gioia, gioia infinita...


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