sabato 6 settembre 2014

JUGAR A LA CONTRA, ovvero tutta la verità sulla tattica dell’Atletico Madrid di Simeone, Parte II

Stagione 2013-2014

E venne l'anno del trionfo. Non parlo semplicemente della vittoria nella Liga e dell'impresa di Champions', ma dell'impressione costante di solidità ed estrema compattezza lasciata dalla squadra, anche nei momenti di grave difficoltà. È questo, a mio parere, il vero capolavoro del Cholo: aver creato una squadra che sembra in grado di durare anni e di mietere successi, o almeno provarci, per molto tempo ancora.
Tuttavia, ancora una volta il percorso non è stato facile, tra ostacoli inaspettati ed errori evitabili. A cominciare dalla solita estate funestata da voci incontrollate su fughe e partenze e da tormentoni su arrivi di fenomeni, comprati o in prestito: niente che non si fosse già visto. Alla fine, Falcao se ne va, arriva Villa a sostituirlo (!!), Courtois rimane un altro anno e un paio di giocatori di buon livello e niente più (Alderweireld e Guilavogui) vengono comprati proprio all'ultimo giorno di mercato. Tutto il peso dell'attacco va sulle spalle di Diego Costa, altra grandissima intuizione di Simeone, mentre il Messia Diego Ribas non arriva e Koke sembra ormai destinato al posto da titolare.

L'inizio della stagione consegna al mister argentino una squadra di non grande livello tecnico e di poca fantasia, oltre che dalla panchina corta: urgono idee e Simeone non si fa proprio pregare per trovarle.
L'Atletico si muove nel solco già tracciato, approfondendo e sviluppando i concetti pazientemente inculcati da Simeone nei suoi, ma aggiunge alcune soluzioni dettate dagli uomini a disposizione.
In primo luogo, linee strette e posizioni ben definite in campo: non importa cosa faccia l'avversario, gli unici riferimenti sono la palla (che orienta la posizione generale della squadra, “slittata” su un lato o centrale) e i compagni, con i quali si forma un muro che, di fatto, rende complicata e poco produttiva qualunque soluzione adottata dai rivali. Nessuno esce dai ranghi, se non in poche situazioni ben chiare (per esempio se l'avversario riceve spalle alla porta e non è lontano), in modo da formare sempre un ostacolo insormontabile per la circolazione di palla avversaria.

Immagine 1. Linee strette e riferimento continuo ai compagni
Poi, il pressing portato fondamentalmente dalla metacampo in giù, con più rari tentativi di alzarlo fino alla trequarti avversaria, a seconda del livello e del gioco dei rivali. Qui si tratta della declinazione difensiva di una delle caratteristiche più evidenti della squadra di Simeone, ovverosia la capacità di giocare in relazione alle caratteristiche dell'avversario e alla fase specifica della partita. Tuttavia, l'ossessione del Cholo per la copertura della propria porta fa sì che raramente si veda da parte dei colchoneros un pressing alto.

Immagine 2. Pressing dei colchoneros nel primo e nel secondo tempo contro il Milan a San Siro: più basso nei primi 45 minuti, più alto in seguito

In ogni caso, è una caratteristica imprescindibile della fase difensiva, al di là di quanto alto o basso sia il baricentro, mantenere una costante occupazione degli spazi dietro la linea della palla (come si vede chiaramente in Immagine 1).
Questo semplice accorgimento permette all'Atletico non solo di bloccare le linee di passaggio in avanti tramite un addensamento sulle direttrici delle stesse, vale a dire una sorta di difesa passiva e statica (per cui rimando ancora a Immagine 1), ma permette altresì di creare continue gabbie sui portatori di palla avversari nei momenti in cui il gioco scivola inevitabilmente sugli esterni, con un continuo slittamento dei colchoneros verso il lato forte avversario. Modalità e tempi di questa difesa attiva e dinamica sono di pertinenza, fondamentalmente, di Gabi, capitano e anima tattica della squadra: ecco spiegata la difficoltà di sostituire un giocatore per nulla appariscente, assolutamente non eccezionale sul piano tecnico, ma terribilmente efficace su quello tattico. La malizia e l'abilità necessarie per questo ruolo nel gioco di Simeone si riveleranno, nel corso dell'anno, un ostacolo insormontabile per il povero Guilavogui, tanto per fare un esempio.

Immagine 3. La gabbia sul portatore di palla in zona laterale. Osservare la posizione di Gabi.
In ogni caso, anche se i suoi critici lo negano, Simeone pensa anche al gioco d'attacco. Solo che questo gioco, per il tecnico argentino, deve basarsi essenzialmente su un concetto solo, la semplicità.
Da che mondo del calcio è mondo del calcio, semplicità significa una cosa sola: verticalità spinta; non bellissima da vedere, certo, ma tremendamente efficace. Semplicemente, si deve arrivare in porta col minor numero di tocchi possibili, un concetto che vale anche per le volte in cui è l'Atletico a fare la partita: le triangolazioni sono necessarie solo se servono a uscire dal pressing avversario o a creare la superiorità nella zona della trequarti avversaria. Nel mondo del Cholo, non esiste altro spettacolo che non sia il gol: di conseguenza, tutto ha senso (ed è ammesso) solo se serve a raggiungerlo. Triangolazioni fini a se stesse, passaggi che non abbiano come scopo l'avvicinamento alla porta e inutili tergiversamenti non hanno ragione d'essere. Ne consegue che il possesso-palla sia quasi sempre, inevitabilmente, inferiore a quello degli avversari e che, per il ribaltamento del fronte del gioco, siano fondamentali anche i lanci dalle retrovie di Miranda, il veloce recupero di palla da parte del doble pivote e gli inserimenti offensivi di Godin.


Come si noterà, nessuno di questi concetti è nuovo, ma anzi è stato continuamente messo in pratica e raffinato nel corso dell'era-Simeone. La novità della stagione riguarda il modo in cui questi concetti vengono declinati sul campo, una volta cambiato il contesto specifico: Falcao e Diego non ci sono più, Adrian non offre sufficienti garanzie, Arda non ama giocare al centro; Koke è emerso come pedina imprescindibile. A questo punto, Simeone imposta il nuovo progetto su Diego Costa, che già nell'anno precedente aveva messo in mostra velocità, resistenza e disponibilità al sacrificio. Quello che tutti si domandavano è se fosse in grado di agire come prima punta nominale e non come attaccante di movimento gravitante intorno a un centravanti come Falcao. Nel dubbio, Simeone imposta un modulo che, in difesa, tiene conto della grandissima duttilità di Costa e della ridotta mobilità di Villa: tocca al brasiliano retrocedere sulla linea dei centrocampisti in fase difensiva. Quindi spazio a un 4-4-2 che, in fase difensiva, si trasforma facilmente in un 4-5-1.

Immagine 4. Il movimento di Diego Costa in fase difensiva e i conseguenti spostamenti di Koke e Villa
 
Per aumentare ulteriormente la densità a centrocampo e in difesa, il movimento difensivo prevede anche che a turno uno dei due centrali si abbassi sulla linea dei difensori o appena prima, pronto a uscirne se necessario.

Immagine 5. Il movimento dei centrali

 
In attacco, buona parte della transizione offensiva è retta dai terzini, che si muovono in perfetta sinergia con le già ricordate incombenze di Miranda, Godin e del doble pivote.
A seconda del lato d'attacco, uno dei due terzini avanza molto e l'altro accorcia sulla linea di centrocampo, mentre Costa e Villa scompaginano la difesa avversaria e a turno Koke o Arda si posizionano sulla trequarti per dettare la triangolazione corta verso il fondo o cercare il passaggio filtrante verso l'interno dell'area avversaria.

Immagine 6. Attacco dal lato sinistro
Immagine 7. Attacco dal lato destro

Come si può vedere, Simeone aveva previsto un ruolo molto importante per David Villa, anche e soprattutto in considerazione del fatto che le caratteristiche dell'asturiano e di Diego Costa sono complementari, o almeno così parevano.

Immagine 8. Area di gioco di David Villa
Immagine 9. Area di gioco di Diego Costa
I compiti assegnati all'attaccante asturiano erano principalmente due.
Doveva innanzi tutto permettere alla squadra di uscire dalla posizione difensiva (vedi Immagine 4), essenzialmente dettando il passaggio lungo per lo scatto in profondità o appoggiando per gli inserimenti di Costa e dei centrocampisti, agendo cioè come vero e proprio pivot.
Se invece la squadra fosse già stata in fase offensiva, avrebbe dovuto risucchiare i difensori avversari e favorire gli inserimenti dei compagni, sia retrocedendo che muovendosi sui lati. Inoltre, avrebbe dovuto svariare sulle fasce (con un movimento opposto e sincrono a quello di Diego Costa), anche in questo caso per aprire spazi.

Immagine 10. I movimenti di Villa e quelli dei compagni in fase d'attacco
 
Come si vede, un lavoro tattico notevole, non certo alla portata di calciatori giovani come ad esempio Leo Baptistao, il che spiega (insieme con quanto detto sui movimenti di Gabi) perchè Simeone punti su giocatori esperti, pur se non necessariamente anziani, e perchè ci voglia molto tempo per entrare nei meccanismi del Cholo.


Questo, a grandi linee, il quadro generale della stagione. Peccato però che ben presto tutti si siano accorti che la condizione di Villa non permetteva affatto questo tipo di gioco e che, nei fatti, tutto questo era improponibile (per dire, io l'ho visto solo nella partita dal vivo contro il Rayo, ed era la seconda di campionato...). Ben presto è apparso chiaro a tutti che il peso tattico di Villa sarebbe stato ininfluente, considerata la sua difficoltà di corsa e la mancanza di spunti sulla media e lunga distanza.
Quindi, appena iniziata la stagione, Simeone si è trovato ad avere a che fare con un problema in più oltre a quelli già presenti e ormai “storici”: come compensare le difficoltà di Villa? Sostituirlo? Modificare, se non lo schema tattico, almeno i movimenti correlati ad esso?
Alla fine, la soluzione è stata doppia.
Inizialmente, contando anche sul fiuto di Villa e su quanto, almeno in termini di reti, l'asturiano potesse apportare, Simeone ha puntato a un gioco nel quale, sia in fase difensiva che offensiva, i due attaccanti rimanessero affiancati e si aiutassero l'un l'altro: in particolare, vista la difficoltà nello scambio di Diego Costa ma anche la sua disponibilità al sacrificio, a Villa toccava l'assistenza in zona d'attacco e al brasiliano il sostegno in fase difensiva.

Immagine 11. Villa e Diego Costa in fase difensiva, un ulteriore "muro" per l'impostazione avversaria
 
Quando (molto presto...) la condizione di Villa è scaduta in maniera imbarazzante, la soluzione ha avuto un nome e un cognome, vale a dire Raul Garcia: non veloce, ma abbastanza rapido da poter assicurare copertura al centrocampo e abbastanza potente da affiancare Costa nell'area avversaria quando ci si fosse arrivati con gioco manovrato; sostanzialmente inutile nelle gare da contropiede se non come pivot (ricordate contro il Barça in Champions'?) o sui calci piazzati.
Raul Garcia ha giocato una seconda parte di stagione strepitosa, ma ciò non deve farci dimenticare che, alla fine, rimane un jolly e non un giocatore chiaramente inseribile in un progetto tattico. Ripeto brevemente cose già dette molte volte: troppo lento per essere una seconda punta o un'ala, troppo statico e “quadrato” per essere un fantasista o un trequartista, troppo poco “presente” per giocare nel doble pivote, rende al massimo nelle mischie d'area (novità di questa stagione) o sulle palle vaganti nella confusione della trequarti avversaria.
Quindi una non-soluzione, pur se di straordinaria efficacia, e non è un caso che il Cholo, alla ricerca di un quadro stabile più definito, abbia chiesto, richiesto ed infine ottenuto, durante il mercato invernale, Diego Ribas e Sosa, cioè la fantasia e la velocità che auspicava per sanare una situazione che rischiava di farsi pesante.
Diego è stato utilizzato subito, contro il Real Madrid in Coppa del Re, nel tentativo di rispolverare un 4-2-3-1 che invece, come sapete tutti, è naufragato inesorabilmente: per far spazio al brasiliano, la squadra è stata stravolta e i protagonisti di quella cavalcata si sono ritrovati pesci fuor d'acqua. Troppo diversi Costa e Falcao, troppo “assente” Adrian, troppo lenti Koke e Raul Garcia, troppo cambiato (in peggio...) Diego Ribas, perchè il modulo con cui l'Atletico si era trovato meglio negli anni precedenti potesse funzionare.

Anche qui, con grande intelligenza e ottimo spirito di adattamento, Simeone si è subito adattato: accantonamento-lampo di Diego Ribas, spazio di nuovo a un 4-4-2 con Raul Garcia quasi fisso, salvo i momenti di grazia di Villa, e tutti indietro a sfruttare la potenza di Diego Costa con palloni in profondità. Una soluzione – non-soluzione che ha progressivamente inaridito il gioco, ma che è stata terribilmente efficace, anche se ha avuto alcuni gravi punti deboli, principalmente la tendenza, a quel punto, a difendere bassissimo e a trovarsi poi a dover recuperare tutto il campo, essendo, al momento del recupero della palla, tremendamente lontani dalla porta. Senza Filipe, Juanfran e Costa tutti insieme in campo, una missione impossibile, come ha dimostrato la finale di Champions'.

Immagine 12. L'Atlético di fine 2013-2014
 
Così si spiega un finale di stagione sconcertante, in cui abbiamo ottenuto due punti in tre partite in Liga e abbiamo perso all'ultimo in Champions'. Si potrebbe dire che Simeone ha fatto il massimo col poco che gli è stato dato, cioè una panchina corta e sbilanciata, ed è la verità, ma in realtà sull'allenatore argentino pesa la macchia di un mercato invernale deficitario, che ha portato giocatori esplicitamente richiesti dal Cholo e tuttavia gravemente insufficienti alla prova del campo. Un errore societario e uno gestionale dell'allenatore che hanno generato una squadra sulle ginocchia a fine stagione.

Se questa è la conclusione, vi chiederete, perchè allora due lunghi articoli di esaltazione di Simeone e della sua abilità tattica e gestionale?
Perchè, in verità, io credo che il Cholo abbia veramente fatto il massimo. Ovverosia, sono convinto che, se potesse scegliere, cioè se avesse un budget di mercato illimitato, non vorrebbe certo giocare così. O meglio ancora, vorrebbe un gioco che salvaguardi questi principi tattici di base, ma con interpreti di ben altro livello. Chi crede che un gioco povero ma efficace sia il desiderio di Simeone si sbaglia: avete visto le partite di Champions' contro l'Austria Vienna, il Barcellona o il Chelsea? Per molti tratti, spettacolo puro. Così come il 2-2 al Real in Liga, caratterizzato da un pressing alto e da un ritmo eccezionale.

Davvero pensate che, potendo scegliere, vorrebbe un Mario Suarez per il suo centrocampo? O un Diego Ribas come trequartista?
Bella forza”, direte, “così chiunque potrebbe vincere”. Già, però...
A parte il fatto che non è vero, il vero merito di Simeone è stato vincere con un gruppo di giocatori medi innervato da alcuni campioni che hanno ricevuto l'input per diventare tali proprio da lui. Chi non vorrebbe un Matic al posto di Mario, tanto per fare un nome? Tutti. Chi vincerebbe con un Mario? Solo il Cholo, io credo. In fondo, un allenatore che va di moda e che apre bocca solo per sputare veleno sugli altri ha deciso, quest'estate, che il suo nuovo progetto vincente doveva passare solo e solamente dall'inserimento di un bel po' di DNA cholista (Courtois, Filipe Luis e Diego Costa) nella sua nuova squadra, guardandosi bene però dal dirlo in giro. E se non è un attestato di aver fatto un buon lavoro questo...

Alla fine, comunque la si guardi, è così. L'Atletico ha alcuni grossi problemi, che si trascina da anni (panchina corta a causa di una situazione finanziaria pessima, una zona centrale pochissimo propositiva e per di più neppure forte sul piano dell'interdizione, mancanza di fantasia, una cronica instabilità degli effettivi, venduti appena arriva l'offerta giusta), ma è la squadra che ha vinto di più negli ultimi anni. E lo ha fatto perchè c'è il Cholo, quello che fa le nozze coi fichi secchi, quello che ogni anno si inventa correttivi per le lacune vecchie e nuove della squadra, quello che sta costruendo un progetto per ora basato principalmente sull'organizzazione e sul mutuo soccorso, ma in futuro anche sulla tecnica e sulla fantasia.
Se poi molti non sanno vedere al di là del proprio naso, non sanno cogliere la differenza tra ciò che sembra e ciò che invece è (e proprio per questo, potrebbe divenire)... poveri loro.
Per queste persone, l'Atletico gioca solo al contropiede. Per queste persone, l'Atletico no juega a nada. Per queste persone, l'Atletico sa solo fare falli e giocare sporco.

Bene, signori, il mondo è vasto. Girate pure canale, altrove ci sono il PSG, il City e chissà chi altri. Guardateveli, ma non piangete se poi, molto prima del più bello, lo spettacolo si interrompe: non è da tutti saper arrivare fino in fondo, sempre e comunque.


P.S. È doveroso segnalare che le immagini 1, 3 e 11 non sono mie, ma di Valentino Tola. Confesso anche che, schiacciato dai tempi, non gli ho chiesto il permesso di poterle utilizzare. Credo che non se avrà a male, anche perchè non ho davvero problemi a dire che, se ho una competenza di qualche tipo sul piano tattico, è quasi esclusivamente merito suo e dei suoi articoli straordinari, che mi hanno insegnato non molto, ma moltissimo.

P.S. 2 A questo seguirà un Jugar a la contra – parte III, che cercherà di far luce sulle tendenze del futuro, anche sulla base del mercato e delle prime impressioni della stagione (grazie anche alla mia ormai abituale visita dal vivo al Calderón). Un post dedicato esclusivamente alla valutazione della rosa è atteso per ottobre-novembre, come l'anno scorso.


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