Nuova
stagione, nuovo trofeo. E sono 7 in quattro anni, di cui 5 nei due
anni e mezzo di Simeone. Alzi la mano chi avrebbe mai immaginato che
il futuro ci potesse riservare tali sorprese, soprattutto dopo
l'orrenda parentesi del Gilismo Maior (quello del padre) e in
pieno Gil-Cerezismo: nessuna altra epoca può competere con questa
per numero e frequenza di vittorie, salvo i gloriosissimi anni 70.
Altri tempi, altra dirigenza, altra aura intorno al nome del club.
Ironia della Storia, di cui spero non avremo a pentirci in futuro.
Ancora
una volta, il merito va principalmente a Simeone, abilissimo nel
gestire una fase di rinnovamento profondo della squadra, rinnovamento
da lui più subito che voluto ma certo pilotato con straordinaria
abilità. È ancora
troppo presto per valutare la squadra nel complesso e le varianti
apportate al disegno tattico, ma è chiaro che lo spirito e l'idea di
calcio alla base rimangono intatti.
Ho
apprezzato specialmente la cautela con cui il Cholo ha presentato in
campo le novità del mercato. In generale, la scelta è stata
privilegiare la continuità e gli acquisti sui quali si poteva
scommettere, lasciando esperimenti e scommesse ad altri momenti. Il
criterio è stato quello della scelta degli uomini più in forma al
momento e più funzionali al tipo di partita. Quindi spazio a Moyá,
a Saúl nella prima gara
e a Griezmann praticamente solo dalla seconda, a Mario Suarez al
Bernabeu ma a Tiago nel Calderon. La lezione subita nella semifinale
di andata della scorsa Copa del Rey, con la disfatta propiziata dal
forzato inserimento di Diego negli ingranaggi di una squadra che
funzionava benissimo e che era però nella sua fisiologica fase “di
stanca”, è stata appresa alla perfezione: concetti semplici, usato
sicuro e pochi fronzoli, nell'attesa anche di vedere cosa porterà
l'ultima settimana di mercato.
Per
il resto, è stato il solito Atletico. Non è un caso che, quando
battiamo il Real, ciò avvenga sempre con un vantaggio minimo, mentre
le sconfitte sono sempre punteggi rotondi. Le due finali hanno
mostrato che la strada da percorrere è ancora lunga: una difesa
attenta e a maglie strette ci impedisce di fatto di giocare per la
vittoria (primo tempo del Bernabeu), mentre le fasi di calcio
offensivo e propositivo non durano mai più di venti minuti (i primi
del Calderon). Per buona parte della gara cerchiamo di gestire la
partita, limitandoci essenzialmente a sperare nel contropiede e nelle
giocate a palla inattiva (la finale di Champions'), cercando di non
farci schiacciare troppo. Di fatto, per dominare contro un avversario
notevolmente superiore tecnicamente, dobbiamo spendere molte più
energie, ben sapendo che non ne avremo per tutta la partita (il 2-2
in Liga l'anno scorso o la stessa finale di Champions').
Può
sembrare un discorso molto duro, magari anche ingiusto nei confronti
di una squadra capace di vincere contro un avversario che ha cinque
volte il nostro fatturato, sette volte il nostro bacino di tifosi e
un potere economico, politico e mediatico enorme, in grado di
condizionare qualunque gara e di garantire sostegni impensabili per
altre società. In realtà non è così, è solo un punto di vista
onesto sulla realtà: chi di noi non baratterebbe un Mario con un
Khedira, per citare solo il più scarso dei nostri avversari? E
giocatori come Jesè o Isco da noi sarebbero in panchina? Dobbiamo
essere doppiamente fieri dei nostri ragazzi proprio per questo,
perchè sanno sfruttare ogni debolezza dei nostri avversari (un
mercato assurdo, basato solo sull'hic et nunc, un progetto
tecnico ribaltato come un calzino per vendere più magliette, una
presunzione totale che li fa scendere in campo “rilassati”
in una finale contro l'eterno rivale) per cancellare un divario che
dovrebbe far vergognare l'intera federazione spagnola, che invece ne
è complice: non possiamo vincere sempre contro di loro, insomma. Ma
gli anni delle umiliazioni paiono definitivamente finiti.
Tutto
qui. Per un'analisi tecnica e tattica della squadra mi pare ancora
troppo presto. Come ho già detto, quello che ho visto è simile a
quanto già sapevamo (un pensiero consolante, in effetti), fatte
salve alcune differenze macroscopiche (Mandzukic non è Diego Costa,
per dire): vedremo in futuro come i vari pezzi verranno assemblati e
anche cosa ci porterà in dono il mercato (Jurado? La fine della
telenovela Cerci? Qualche colpo totalmente inaspettato?).
Un'idea
ce l'ho, ma aspetto di vedere la squadra dal vivo contro l'Eibar e la
conclusione del mercato. Certo è che nel prossimo post di tattica
(la continuazione di “Jugar
a la contra – parte I”), analizzando la scorsa stagione
nei suoi pregi e difetti, cercherò di ipotizzare il percorso
dell'immediato futuro. Neanche a dirlo, ogni vostro contributo mi
sarà prezioso, quindi vi invito a fornirmi le vostre osservazioni.
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