lunedì 24 febbraio 2014

Osasuna – Atletico Madrid 3-0: naufragio


Qualunque uomo di calcio potrà confermare che una delle regole più importanti di questo sport, per quanto non scritta, è che la vittoria ha molti padri, mentre la sconfitta ne ha uno solo. O, per dirla con altre parole, chi vince ha sempre ragione. Chi perde, va da sé, non ha alcun merito e spesso non vede neppure riconosciuti i propri meriti: la sconfitta marchia a fuoco ogni aspetto di un lavoro col segno dell'ignominia.
Diego Simeone, che nel calcio ci sta da una vita, queste cose le sa benissimo. Per questo credo che non si scomponga più di tanto davanti al diluvio di critiche che ultimamente gli sta piovendo addosso. Tempo fa, col suo solito sorriso, lo disse, in una conferenza stampa: “Se schiero sempre la stessa formazione, mi rimproverate perchè non faccio mai cambi; se faccio turn over, mi rinfacciate i cali della squadra”. Si trova sempre gente che ti rinfaccia qualcosa che hai fatto, o non hai fatto, o avresti potuto fare meglio, o che qualcun altro avrebbe ovviamente fatto meglio: al bar, davanti a un caffè, tutti siamo provetti allenatori. Mai nessuno che si ricordi, e sottolinei pubblicamente, che uno come Simeone ha mantenuto una squadra decente e poco più, espressione di una società malgestita , piena di debiti e comunque con un fatturato neppure paragonabile a quello di alcune grandissime corazzate, in testa al campionato e in corsa nelle coppe fino ad ora.

Tutta questa lunga premessa per ribadire, ancora una volta, che io sono cholista, anzi, un fanatico cholista. Ciò nonostante, sono perfettamente consapevole del fatto che Simeone è un uomo e, come tale, può sbagliare.
E ieri ha sbagliato.

L'Atletico che si è presentato in campo a Pamplona non aveva nessun senso. E non l'aveva perchè il Cholo è venuto meno, e non per la prima volta, al suo principio-guida, quello del partido a partido. Ogni volta che questo è accaduto, ne ricordo un paio l'anno scorso, le cose non sono andate bene: abbiamo perso punti e partite tra recriminazioni e alti lai.
Preoccupato dal derby prossimo venturo e dal ritorno di Champions', turbato dalla possibilità di trovarsi privato di pedine fondamentali a causa di squalifiche e infortuni, il Cholo ha presentato una squadra priva di logica e destinata alla sconfitta essenzialmente per tre motivi: mancavano alcuni giocatori fondamentali, a rischio squalifica o bisognosi di uno stop; altri titolari, minacciati dal rischio di saltare il derby al primo cartellino giallo, non erano nella condizione d'animo di giocarsela col coltello fra i denti; i sostituti non erano dello stesso livello di chi gioca abitualmente (Adrian è stato semplicemente scandaloso).
Aggiungiamoci il fatto che alcuni dei titolari, veri o presunti, non sono in forma (Villa, Gabi e Mario, tanto per fare qualche nome) e la ricetta per la sconfitta è bell'e pronta.

Ecco così che in campo è sceso un Atletico molle, privo di mordente e di coordinamento tra i reparti, pronto per essere fagocitato da un Osasuna che ha puntato proprio sulle stesse armi che i biancorossi utilizzavano senza problemi fino a un paio di mesi fa.

Il primo gol, su calcio d'angolo, è frutto di un errore collettivo: tutti si muovono verso il primo palo e Cejudo appare completamente solo sul secondo. Di chi è la colpa? Villa? La teorica ala sinistra, cioè Adrian o Diego, visti i continui cambiamenti durante la partita? Filipe Luis? Comunque la vogliamo mettere, è mancato il movimento collettivo, direi quasi il “pensiero collettivo” che caratterizzava i colchoneros i primi mesi.

Il secondo è invece causato da un errore di Juanfran, che col suo inconcepibile errore di disimpegno mette la squadra in condizione di trovarsi completamente sbilanciata in fase di salita. Cose che possono capitare, anche se non dovrebbero. Tuttavia anche qui vedo il segno del tempo difficile che stiamo vivendo: a guardare bene l'azione, si osserva che molti dei nostri, che un tempo sarebbero corsi a contrastare Armenteros, ieri invece si sono limitati a trotterellare verso l'avversario come ai tempi di Manzano. Nell'esercizio si distingue, manco a dirlo, Mario Suarez, uno dei peggiori in campo, come gli accade quasi sempre.

Il terzo, infine, ripropone tutto quello che non vorremmo vedere: Villa si fa rubare un pallone senza neppure provare a lottare, la palla arriva sul fondo, da dove viene crossata a centro area dove né Alderweireld, né Godin si accorgono dell'arrivo di Roberto Torres, che schiaccia di testa. Particolarmente colpevole l'uruguaiano, che, da secondo centrale, doveva controllare gli inserimenti centrali degli avversari. Ancora una volta, brilla l'assenza di un qualunque schermo difensivo nella zona davanti alla difesa, un difetto ormai atavico che ritenevo potesse essere sanato da Guilavogui ma che chiaramente permane.

Nel secondo tempo, l'Atletico non cambiava marcia: entrava subito Koke, poi Simeone dava spazio ad Arda e Raul Garcia. Solo dopo i tre cambi i colchoneros creavano alcune occasioni ed erano anche sfortunati in un paio di queste, ma ormai era troppo tardi.

La barca che, zavorrata da troppi difetti e troppe paure, aveva sbandato a Milano, naufragava senza appello a Pamplona. D'altra parte, non ci si può sempre affidare a San Courtois...


Note positive
Filipe Luis: ritorna, non gioca male. Per una notte da incubo, può bastare come lumicino di speranza?

Note negative
Simeone: dovrei mettere tutti, quindi ci metto lui e la facciamo breve. Come ho già detto, è facile parlare da una poltrona, però voglio spendere un paio di parole su un aspetto minore ma secondo me indicativo di come vanno le cose ultimamente. L'altra giornata, durante il 3-0 al Valladolid, tutti si aspettavano che i diffidati si guadagnassero un ultimo cartellino negli ultimi minuti. E invece no, perchè si gioca partido a partido, sempre al top. Bene. Benissimo. Allora perchè una settimana dopo metà degli intoccabili stanno fuori?
E aggiungo un'ultima considerazione: perchè ultimamente subiamo così tanto le partenze accelerate degli avversari?





Osasuna: Ándres Fernández; Marc Bertrán (Oier, m. 46), Loties (M. Flaño, m 78), Arribas, Damià; Lolo, Silva; Cejudo, Roberto Torres, Armenteros; y Oriol Riera. No utilizados: Riesgo; Nino, Acuña, Lobato y Raoul.


Átlético: Courtois 6; Juanfran 5,5, Alderweireld 5, Godín 5, Filipe Luis 6; Gabi 5, Mario Suárez 4 (Koke, m. 46 5); Diego Costa 6, Diego 4,5 (Arda, m. 58 5), Adrián 4; y Villa 4 (Raúl García, m. 61 5).
No utilizados: Aranzubía; Miranda, Insúa y Cebolla Rodríguez.



Goles: 1-0. M. 5. Cejudo. 2-0. M. 21. Armenteros. 3-0. M. 41. Roberto Torres.
Árbitro: Martínez Munuera. Amonestó a Mario Suárez.
Unos 18.000 espectadores en El Sadar.

venerdì 21 febbraio 2014

Milan – Atletico Madrid 0-1: cronache dall’altro mondo


Vado sin da quando ero bambino a San Siro. Sarà per questo che, quando mi dicono che è imponente, che mette in soggezione, rimango sempre un po’ perplesso, perché non riesco a capire cosa vogliano veramente dire. Un calciatore professionista non è, appunto, un professionista? Non dovrebbe essere abituato, almeno a certi livelli, a frequentare posti come il Camp Nou e il Bernabeu? Davvero San Siro può intimidire al punto tale da mandare in confusione una squadra capace di uscire dal Das Antas con tre punti?
Lo dico perché davvero non mi capacito di quanto ho letto in più blog e in più giornali, ovvero che, sulla mediocre prestazione dei colchoneros di mercoledì, abbia influito il famoso miedo escenico: in fondo, San Siro è lo stadio in cui il Real Madrid non ha mai vinto e anche il Barcellona, il todopoderoso Barça, se l’è vista brutta. “E allora?”, mi viene da pensare. È davvero credibile che gente in grado di sbancare per due volte il Bernabeu in pochi mesi e di far ammutolire il Camp Nou abbia provato un disagio tale da non giocare praticamente per quasi tutto il primo tempo? Che si sia trovata in un altro mondo, quello in cui la paura taglia le gambe ai bucanieri e stronca il coraggio di filibustieri spietati?

Perché a me è parso che le cose siano andate un po’ diversamente: il miglior Milan della stagione (ed è tutto dire, perché i rossoneri sono stati appena più che sufficienti, e solo per un tempo, checché ne dicano i deliranti giornalisti italiani) ha quasi messo sotto, almeno per un po’, un Atletico molto lontano dalla propria dimensione, ma poi, alla fine, non solo non è riuscito nell’intento, ma ha capitolato in maniera degna della sua mediocrità non appena i colchoneros hanno trovato un minimo di ratio in campo.
In fondo ad aver cominciato di gran carriera, con piglio e grinta, erano stati i biancorossi, che si erano presentati davanti alla porta di Abbiati dopo neanche un minuto. Arda Turan pareva indiavolato, Costa metteva in costante ansia l’oscena coppia Bonera-Rami, Gabi manteneva alta la linea di centrocampo e corti i reparti.

Tutto perfetto, dunque. Neanche il tempo di pensare che i ragazzi sembravano in palla, che la partita cambiava improvvisamente volto: il “casino (pseudo-)organizzato” di Seedorf creava, inevitabilmente, una certa pressione tra centrocampo e difesa dei colchoneros, soprattutto nelle aree esterne della trequarti. Sulla destra, Juanfran e Koke reggevano abbastanza la pressione; sulla sinistra, la strana coppia Insua-Arda si rivelava debolissima in interdizione, a causa della svogliatezza del turco e della papabile incapacità dell’argentino. In un attimo, come una scossa percorreva i colchoneros, diventati improvvisamente consapevoli di una vulnerabilità nella zona sinistra cui non erano abituati (ah, Filipe Luis, TORNA appena puoi!!!). Questo generava un effetto domino: Gabi e un pessimo Mario retrocedevano per essere pronti a intervenire nella zona debole, ma lasciavano così maggior spazio agli attacchi centrali dei rossoneri, abili a sfruttare un altro dei punti deboli (questa volta, per così dire, “storico”) dell’Atletico; Koke, temendo di risultare isolato, a sua volta retrocedeva, bloccando Juanfran in una posizione dalla quale non incideva né in avanti né in difesa; Diego Costa rimaneva solo in avanti, in attesa di palloni che non arrivavano e mai sarebbero arrivati, mentre Raul Garcia finiva a sua volta in mezzo al guado, schiacciato tra la consegna di rimanere davanti per sostenere l’attacco e/o far salire la squadra e l’istinto che lo spingeva a scalare verso il centro del campo per aiutare i compagni. Il navarro finiva per non fare né l’una né l’altra cosa (anche perché non ha la velocità e la visione di gioco necessarie a compiere movimenti di questo tipo senza il sostegno dei compagni) e la nave, zavorrata dalla catena di mancanze sopra descritte, sbandava pesantemente.
Per fortuna di tutti c’era Courtois a mantenere la testa ben salda sulle spalle, mentre intorno a lui, contagiati dal terrore e dai movimenti inconsulti di Insua, franavano quasi tutti e Miranda e Godin tentavano disperatamente di far uscire la palla dall’area in qualunque modo possibile: con una serie di parate prodigiose salvava la porta dei colchoneros e permetteva ai ragazzi di Simeone di arrivare incolumi alla fine del primo tempo. Un primo tempo nel quale la palla era stata sistematicamente sparacchiata in avanti e in cui, nelle rare giocate corali, nessuno aveva compiuto un’accelerazione che fosse una, o un movimento a smarcarsi o qualcosa che si discostasse dalla staticità più assoluta.

La partita dell'Atletico nei primi 45 minuti: evidentissima l'area di sofferenza sulla treqaurti di centro-sinistra


Non vi dico, a quel punto, l’ansia e lo sconforto che ho provato: tutto intorno a me era un fiorire di commenti sarcastici sulla nostra fortuna, sulla nostra mediocrità di squadra catenacciara, sulla violenza e sul gioco sporco dei nostri giocatori (e qui, in effetti…). Tutto uno stupore sulla nostra posizione nella Liga: credo che qualcuno abbia anche avanzato l’ipotesi che, se il Milan avesse giocato nel campionato spagnolo, avrebbe potuto tranquillamente essere primo. Il fatto che io non abbia reagito a questa suprema cazzata come meritava, ma me ne sia stato accucciato sul seggiolino a tormentare la sciarpa e a pregare per un miserabile 0-0, spiega molto più di tante parole lo stato di prostrazione in cui il penoso spettacolo del primo tempo mi aveva gettato. Sono abbastanza sicuro che, tutto intorno a me, a tutti voi che eravate sulle gradinate in mezzo ai milanisti, sia accaduto più o meno lo stesso. A quanto ne so, il tono dei commenti televisivi era più o meno lo stesso.

Dico la verità, io a quel punto avrei inserito Diego, sperando che fosse in giornata di grazia e riuscisse a tenere quella benedetta palla e, magari, a trovare quegli spazi che il Milan prima o poi avrebbe concesso. Perché è vero che l’ottima prova difensiva di De Jong ed Essien, unita alla costante attenzione di tutti i reparti nel rimanere corti e al movimento continuo dei quattro davanti, aveva messo in crisi i Colchoneros; però è altrettanto assodato che non ci si inventa maestri in un giorno e che il Milan, prima o poi, si sarebbe disunito e avrebbe mostrato i segni dell’inevitabile stanchezza, mentale prima ancora che fisica, di chi si sforza di fare scolasticamente ciò di cui non ha esatta percezione. Oltre al fatto che, cambiato il modulo di gioco, i (mediocri) giocatori continuano fondamentalmente a rimanere gli stessi.

Però il Cholo non era affatto dello stesso avviso: stesso allineamento, solo con Raul Garcia spinto a scendere quasi sulla linea dei due centrocampisti centrali, in un 4-2-3-1 in cui il navarro aveva libertà di scambiarsi la posizione con lo spaesato Arda, per così coprire meglio il groviera che era la nostra fascia sinistra.

Così come era arrivata, allora, la tempesta passava, man mano che il Milan, di fronte a un Atletico finalmente tetragono, perdeva consistenza e vivacità. A quel punto, riequilibrata la gara, Simeone inseriva Rodriguez, cioè un'ala veloce che allargasse il gioco e puntasse direttamente verso l'area, puntando sul totale spaesamento di Abate, un altro che ai tempi di Sacchi e Capello avrebbe tagliato l'erba di Milanello e nulla più. Dopo poco, vista la tendenza dei rossoneri a sfaldarsi, Simeone decideva di giocarsi il tutto per tutto, mettendo in campo Adrian, nel tentativo di aumentare la pressione lungo tutto il fronte d'attacco. 

La partita dell'Atletico nel secondo tempo: gioco più equilibrato e difesa a tutto campo
 

A un certo punto, era ben chiaro chi puntava al pareggio e chi no: Balotelli sostituito usciva dal campo con lentezza esasperante; Raul Garcia volava verso la panchina e segnalava a tutti che l'Atletico era lì, disposto a provarci fino all'ultimo. E finalmente l'altro mondo, quello in cui il cuore di noi tutti aveva tremato e (ebbene sì, lo confesso) ci aveva sussurrato “Ma che c... ci sei venuto a fare??”, spariva per lasciare il posto ai nostri incommensurabili bucanieri: quelli che non affondano mai, quelli che non perdono mai la testa, quelli che corner-di-Gabi-testa-di-Diego-Costa-GOL! E tanti saluti ai sognatori che, al momento della verità, si perdono dietro alle chimere, invece di strangolare la partita.

A quel punto, che gran soddisfazione, in piedi sui gradoni, veder sfollare i 70mila di San Siro, increduli, abbacchiati. Li capisco, davvero: non ci conoscevano, molti di loro non sapevano neppure che a Madrid ci fosse un'altra squadra e comunque, siccome non guardano mai al di là dei nostri confini, non sanno neanche a che livello miserabile sia giunto il calcio italiano.

Non potevano immaginare che i nostri, stringendo i denti e ringraziando la Fortuna, erano riusciti a tornare nel nostro mondo, quello in cui riescono sempre a fare ciò che gli riesce meglio, ovverosia combattere fino oltre il novantesimo e approfittare di ogni errore degli avversari.
Si chiama CHOLISMO, signori. Non si impara in tre giorni da uno che ha smesso di giocare ieri e oggi si crede un grande allenatore solo perchè l'ha detto il capo.

Si chiama CHOLISMO e noi ce l'abbiamo dentro.



Note positive
Courtois: senza la sua fenomenale prestazione non so come sarebbe andata la partita, perchè è vero che siamo inaffondabili, ma è vero anche che due mesi fa eravamo a un altro, straordinario, livello. Tra lo stupore dei miei compagni di settore, para ogni pallone e il bello, in realtà, è che loro non lo sanno, ma è qualcosa che il nostro Thibault fa molto spesso.

Diego Costa: si sbatte alla morte per la squadra e poi, al momento giusto, è abbastanza lucido da imprimere il suo sigillo sul match. Certo, non azzecca un tiro da trenta metri ogni venti giornate di campionato, ma c'è sempre quando serve: oddio, vuoi vedere che è questo il motivo per cui i giornali italiani ne parlano così poco?


Note negative
Insua: scandaloso è un eufemismo dettato dal mio buon cuore. Vorrei dilungarmi in una analisi tecnica di spessore, ma non ce la faccio. Continua a venirmi in mente la sgradevole sensazione che il club abbia veramente buttato in un water i 3,5 milioni spesi per acquistarlo.
La partita di Insua: notare la quantità di retropassaggi e il fatto che la quasi totalità dei passaggi in profondità risultano sbagliati.


Arda: la sua partita dura otto minuti. Ormai è assodato, gioca solo quattro mesi all'anno, poi scompare. L'anno scorso la cosa si era notata meno perchè si infortunò proprio in questo periodo, ma quest'anno mi pare veramente eclatante la sua mancanza di continuità.
La partita di Arda Turan: quasi nessun passaggio in profondità
 




Milan: Abbiati; De Sciglio (Abate, m. 26), Rami, Bonera, Emanuelson; De Jong, Essien; Poli (Constant, m. 84), Kaká, Taarabt; y Mario Balotelli (Pazzini, m. 77). No utilizados: Amelia; Mèxes, Zaccardo y Petagna.


Atlético: Courtois 9; Juanfran 5, Miranda 6, Godín 6, Insua 3; Gabi 6, Mario Suárez 5; Koke 5, Raúl García 6 (Adrián, m. 79 sv), Arda Turan 4 (Cebolla Rodríguez, m. 74 6); y Diego Costa 7,5.
No utilizados: Aranzubia; Alderweireld, Diego, Sosa y Villa.



Gol: 0-1. M. 83. Diego Costa.
Árbitro: Pedro Proença (Portugal). Mostró tarjeta amarilla a  Insua, Mario Suárez, Abate, Bonera, Diego Costa, Rami y Adrián.
Unos 75.000 espectadores en el estadio de San Siro.

martedì 18 febbraio 2014

Nasce Frente Italia, la Peña Atlética Italiana


Molti di voi lo sapranno già, altri lo avranno intuito dai vari commenti che si sono succeduti in calce agli ultimi post.
È nata Frente Italia, il fan club che si propone di riunire tutti i colchoneros italiani in un unico gruppo.
A Frente Italia parteciperò anch'io, come mi è stato chiesto dai curatori e dagli organizzatori, anche se in veste un po' defilata. Continuerà infatti ad esistere Colchoneros Italia, per una serie di ragioni che mi pare giusto condividere con tutti voi che mi leggete e che leggerete le pagine della nuova Peña.

Prima di tutto, questo blog è nato dal mio desiderio di dire la mia sulla società, sulla squadra, sul calcio spagnolo ed europeo, ma con i miei tempi: chi mi segue da molto sa che non sono sempre regolare nei miei post, che spesso trascuro la cronaca per discorsi di sintesi o di più ampio respiro, che talvolta non pubblico ciò che ho promesso di pubblicare (a chi mi ha chiesto lumi sull'ormai disperso articolo sulla tattica di Simeone quest'anno: l'ho già cambiato tre volte, causa ripensamenti del Cholo e variazioni della rosa, ormai è un mostro infinito che devo rivedere e armonizzare: diciamo che osservare la realtà dalla piccionaia di San Siro potrebbe portarmi a concluderlo, magari in più puntate...). Quindi dico candidamente che non me la sento di assumere impegni che poi non posso mantenere: i ragazzi di Frente Italia possono linkare qualunque mio articolo, possono chiedermi di (provare a...) scrivere cose specifiche, probabilmente riceveranno articoli e commenti miei di cui faranno l'uso che ritengono opportuno; però non voglio vincolarli alle mie debolezze.


Poi, lo ammetto, sono molto geloso dei miei spazi: questo blog è la mia valvola di sfogo, mi spiaceva chiuderlo dopo due anni e mezzo di sforzi, anche perchè ricevo visite da tutto il mondo e mi ha permesso di avere contatti con persone che stimo e che conosco personalmente.


Infine, sono stato, sono e sarò sempre un feroce critico della Gil-Mafia. Chi mi legge da un po' lo sa, gli altri possono seguire il tag un Atleti digno qui a fianco. Un feroce accusatore di questi “signori”, vicino alle posizioni di Señales de Humo e Sentimiento Atletico, non è ben visto in riva al Manzanares e potrebbe creare qualche problema al momento di un eventuale riconoscimento ufficiale della Peña da parte della società. Meglio quindi essere solo un iscritto e non un responsabile del fan club. Anche perchè credo che ognuno sia libero di pensarla come vuole su Gil e Cerezo: chi, come me, è biancorosso da una vita non può dimenticare certe offese e certe umiliazioni al club; capisco che gente che si è avvicinata all'Atletico negli ultimi 5 o 6 anni, ben dopo la morte di Gil padre o magari sull'onda delle ultime vittorie, non sappia o non voglia sapere o pensi che non ci sia niente di sbagliato nella gestione della società. Oppure che ci sia anche gente a cui importa solo quel che accade sul campo e non concepisca l'Atletico come un aspetto fondamentale della propria vita, cui dedicare anche ore di studio.


In conclusione, sono felice di non essere più solo.

Auguro a Frente Italia il percorso più luminoso possibile, anche col mio aiuto.


domenica 16 febbraio 2014

Atletico Madrid – Valladolid 3-0: passeggiatina


Quattro minuti. Quattro minuti e la partita del Pucela, disintegrato dal micidiale uno-due di Raul Garcia e Diego Costa (curiosamente gli stessi marcatori, e nel medesimo ordine, della partita d'andata), era già finita.
Sono bastate una punizione di Gabi per il tiro da fuori di Raul Garcia e una straordinaria cavalcata di Diego Costa su stupendo assist dello stesso navarro per riportare l'Atletico alla tanto desiderata vittoria.
Mancavano 86 minuti, ma nessuno ha mai dubitato che la partita fosse ormai conclusa. Non i colchoneros, che hanno arretrato il loro raggio d'azione e si sono limitati a controllare la partita cercando di sprecare meno energie possibili, non il pubblico, che si è rilassato, non gli avversari che, pur padroni dell'iniziativa, non sono mai riusciti a portare la palla oltre la trequarti atletica.
Il primo tempo è volato via così, una passeggiatina senza nessun sussulto. Neppure il secondo ha regalato chissà quali emozioni: scocciato dall'insistenza degli ospiti, che finalmente erano riusciti a depositare qualche pallone dalle parti di Courtois (non nello specchio della porta, badate bene, solo nelle vicinanze), e rinfrancato dalla buona vena di Diego, una volta tanto disposto a giocare per la squadra (ma c'erano molti spazi, guarda tu...), l'Atletico ha aumentato appena appena il ritmo e ha mandato in frantumi ciò che restava del Valladolid. Una traversa su corner (Mario Suarez), un gol di Godin sempre su calcio d'angolo e arrivederci a tutti.


Cosa deduciamo da questa vittoria? Non molto, in realtà, perchè non è stato un test probante. Diciamo che la forma sembra accettabile e che Diego Costa pare tornato a un livello discreto, anche se neppure paragonabile a quello di qualche mese fa. L'Atletico ha gestito la partita nel migliore dei modi, anche se non si sono viste le straordinarie concentrazione e intensità cui siamo stati abituati. Per il Valladolid quanto si è visto è bastato e avanzato; tuttavia resta da capire se le energie, sia mentali che fisiche, ci sono e verranno usate in maniera molto più generosa nelle partite che contano o se, comunque, il nostro livello è certo più alto di quello visto ieri, ma non di molto.
Nel primo caso, possiamo guardare con fiducia al prossimo filotto di impegni (Milan in Champions', Osasuna e Real in Liga); altrimenti le cose potrebbero comunque dirci bene ma non benissimo, e in ogni caso con molta più difficoltà del previsto.


Per tutti quanti, l'appuntamento è a San Siro, sia per chi, come me, ci andrà di persona che per tutti quanti saranno presenti col cuore. ¡AUPA ATLETI!


Note positive
Raul Garcia: un gol dei suoi, con un tiro da fuori, e un imprevedibile ma stupendo assist per la cavalcata di Diego Costa e la partita è risolta. Restituito alla sua posizione preferita, quella di seconda punta galleggiante sulla trequarti, regala una prestazione di notevole regolarità condita da un paio di gemme. Rassegniamoci, perchè il giocatore è così: sa fare due cose, ma le fa benissimo. Chiedergli di fare di più lo confonde e basta


Note negative
Nessuna




Atlético: Courtois sv; Juanfran 7, Alderweireld 6,5, Godín 7, Insúa 6; Arda 6,5 (Villa, m. 79 sv), Mario Suárez 7, Gabi 7, Koke 6,5 (Sosa, m. 78 sv); Raúl García 8 (Diego, m. 63 7) y Diego Costa 7.
No utilizados: Aranzubía; Miranda, Cebolla Rodríguez y Adrián.


Valladolid: Mariño; Rukavina, Marc Valiente, Mitrovic, Peña; Rubio, Rossi; Larsson (Rama, m. 71), Víctor Pérez, Omar (Osorio, m. 46); y Javi Guerra (Manucho, m. 78).
No utilIzados; Jaime; Sastre, Baraja y Bergdich
Goles: 1-0. M. 2. Raúl García. 2-0. M. 4. Diego Costa. 3-0. M. 74. Godín.
Árbitro: Prieto Iglesias. Amonestó a Víctor Pérez, Peña y Mitrovic.
Unos 40.000 espectadores en el Vicente Calderón.


mercoledì 12 febbraio 2014

Atletico Madrid – Real Madrid 0-2: neanche fosse Feyenoord-Sparta...


o Club Brugge – Cercle, o Benfica – Belenenses, o qualunque altro derby tra uno squadrone e una squadretta vi venga in mente.
Semifinale di Copa del Rey e un totale complessivo di 5-0 per i nostri cugini, che neanche hanno dovuto sudare, anche perchè hanno avuto la fortuna (anche... arbitrale) sfacciatamente dalla loro parte.
Dico subito che la partita non l'ho vista. Tutto questo parlare di remuntada mi ha letteralmente urticato. Avete presente da quanto tempo non mettiamo tre reti al Real Madrid? Dal 1999. Quattro, poi, addirittura dal 1988, se non ricordo male (o era il 1987? O il 1989? Insomma, siamo lì).
E poi conosco troppo bene Simeone per non sapere che, per quanto gli scocci perdere anche a biliardino, è perfettamente in grado di individuare le cause perse, per le quali non investe niente di niente, nel timore di compromettere i veri obiettivi. Per cui in campo è andata una buona formazione, in grado di sfruttare una improbabilissima congiunzione astrale, ma certo non di provocarla. In fondo credo che il Cholo si ricordi perfettamente l'anno del Doblete, quando perdemmo tutti e due i derby ma vincemmo la Liga, che poi è tutto ciò che conta. Credo che sia impegnato a fare di noi una vera formazione vincente, non provinciale, concentrata sui trofei e non su una supremazia cittadina che alla fine sarebbe molto più teorica che reale, vista la differenza abissale tra le bacheche dei due club. Meglio non rischiare in un derby inutile, se questo si traducesse in maggiori probabilità di vincere un trofeo a fine stagione. Tra l'altro, il derby veramente importante è quello del 3 marzo, sempre al Calderon, in Liga.
Questo avrà pensato il Cholo. E ha fatto anche bene, non discuto.
Però poi diventa difficile trovare qualcosa da rispondere a chi dice che la finale dello scorso anno sia stata la classica eccezione che conferma la regola e non l'inversione di una tendenza. Che siamo stati miracolati, insomma. E non so a voi, ma a me questa situazione pesa parecchio.
Magari io avrei anche aggiunto un paio di paroline sulla necessità, gli ultimi due o tre minuti, di far balenare davanti agli occhi di Arbeloa e Pepe lo spettro di una conclusione anticipata della loro carriera. Ma perdonate, se potete, queste parole di astio supremo.


Se parliamo di calcio, allora dobbiamo fare almeno un paio di osservazioni.
Viaggiamo a un ritmo di un infortunato a partita: ieri anche Manquillo se l'è vista brutta. Forse andava valutata meglio l'esiguità della rosa, soprattutto in sede di partenze nel mercato invernale.
Da tre anni i colchoneros registrano una pesante flessione a gennaio-febbraio, dopo una partenza lanciata (quest'ultima non tre anni fa, quando Manzano non seppe combinare niente). Una flessione ampiamente calcolata dal Cholo e dal Profe Ortega, quindi, nella speranza di arrivare in forma nettamente superiore agli altri alla fine della stagione. Tutto perfetto, dunque, se non fosse che proprio gennaio-febbraio è lo snodo della stagione, almeno quest'anno: la Coppa è andata, quindi essere in forma per il giorno di una finale giocata da altri non sarà un grande aiuto. Idem per la Champions': fortuna vuole che ce la giochiamo contro il Milan, per cui, sebbene in netto calo, continuiamo ad avere un certo vantaggio, per quanto molto meno consistente. Due mesi fa, non ci sarebbe stata partita, ora la mano sul fuoco non la metterei. Mi consolo pensando che non affrontiamo il Manchester City o il Bayern...


Restiamo in attesa, insomma.


domenica 9 febbraio 2014

Almeria – Atletico Madrid 2-0: tanto tuonò che piovve


Perseverare, si sa, è diabolico. Dopo un derby all'insegna del totale smarrimento tattico, una trasferta insidiosa nella quale Simeone ci delizia riproponendo pari pari gli stessi uomini e lo stesso schema e ottenendo in cambio, ma guarda un po', lo stesso risultato.
Così, ad appena una settimana dalla conquista del liderato, ci tocca abbandonare il primo posto ai maledettissimi cugini, in attesa della partita del Barcellona a Siviglia.


Non starò a fare grandi analisi tattiche della gara, anche perchè le cose che si possono dire sono le stesse che già ho scritto dopo il derby di mercoledì e credo che nessuno possa sostenere che non sono corrette. Aggiungo, a margine, che il Cholo ieri ha proposto Juanfran terzino sinistro al posto di Insua, in quella che mi è parsa una definitiva giubiliazione dello sfortunato argentino, che non solo sfigura pesantemente al confronto con Filipe, ma anche rispetto a Juanfran stesso. Credo insomma che abbiamo già il nome del primo che se ne andrà in estate. Un altro che lo raggiungerà è sicuramente Aranzubia, ieri autore di due errori comici, anche se sarebbe ingiusto dare a lui tutta la colpa.


In fondo, ieri l'Atletico ha dominato il campo senza mai creare occasioni da rete, ma anzi ruminando un penoso calcio orizzontale che credevamo non facesse parte degli insegnamenti di Simeone. È vero che l'Almeria, come faranno in molti da qui alla fine del campionato, ha chiuso a tripla mandata la propria trequarti, ma è altrettanto vero che vedere Arda e Diego percorrere palla al piede metri e metri di campo in orizzontale mi ha portato alla mente le orrende partite disputate con Manzano, quelle in cui nessuno si smarcava, nessuno cercava la profondità, nessuno si assumeva la responsabilità di guidare la manovra. O meglio, ieri il solo Diego si è assunto questa responsabilità: ha anche regalato alcuni dettagli di calcio sublime, ma nel complesso ha ottenuto che la manovra passasse sempre tra i suoi piedi e lì, quasi naturalmente, si arenasse. Ripeto, pareva di vedere il calcio del buon Manzano.


Alla fine la vera domanda che bisogna cominciare a farsi è: perchè proprio nel momento in cui Simeone ha ottenuto gli uomini che voleva, proprio loro e non dei giocatori simili, il suo Atletico ha smesso di avere una chiara identità? È un fatto, non un'opinione. Vale a dire che può anche essere che la mia lettura delle cause non sia corretta, ma comunque la questione rimane sul tavolo.
Gli altri ci propinano la nostra stessa medicina, a base di intensità, coesione, falli tattici e pressing, ma al Cholo, che pure aveva intuito il problema, non riesce di trovare un antidoto. Non lo può essere questo 4-2-3-1, che ci condanna a una minore compattezza e a una minore “efficacia difensiva di gruppo”, senza però darci in cambio un gioco più fantasioso e imprevedibile. Anzi, abbiamo perso anche la nostra proverbiale verticalità: non si vedono più transizioni da una trequarti all'altra di tre-quattro tocchi, ma una manovra piena di barocchismi che permette ai nostri avversari di non farsi trovare sbilanciati nel momento topico. Poi un doble-pivote Gabi – Tiago mi pare ancora più azzardato di quello del derby, con tutti i giocatori offensivi già messi in campo, soprattutto se questi ultimi non difendono in modo efficace. Aggiungo che mi pare proprio che l'arrivo di Diego abbia, in un qualche modo che ancora non sono riuscito a definire ma sul quale mi riprometto uno studio, prosciugato gli spazi a disposizione di Costa, costretto a partire più avanzato e a finire schiacciato contro gli avversari. Prima invece con più spazio dietro, poteva permettersi di risucchiarli verso il centrocampo, oppure di retrocede fino ad essere fuori dal loro raggio di marcatura, per poi bruciarli in velocità palla al piede.
Poi se volete si può discutere dell'improvvisa miopia della categoria arbitrale rispetto a falli e rigori che ci dovrebbero essere assegnati e anche dell'incredibile prodigalità nell'assegnarli agli altri (Aranzubia è un fesso, ma non ha fatto fallo sull'avversario, quindi niente rigore né espulsione). Ma solo poi, perchè fino a un mese fa eravamo inarrestabili, poi siamo diventati in affanno ma baciati dalla sorte e dal carattere; ora siamo bolsi, spaesati e anche perseguitati da sfortuna e arbitraggi. E buona parte del problema risale a noi.


Note positive
Manquillo: chiamato a una nuova prova da titolare dall'inadeguatezza di Insua, si mostra abile in difesa e piuttosto deciso in avanti, dove risulta uno dei più incisivi, anche se pecca di una certa imprecisione.


Note negative
Aranzubia: non so veramente quale errore sia più comico, se l'errato calcolo della lenta parabola che ci condanna allo 0-1 o lo scandaloso controllo del pallone che frutta il secondo gol. Alla fine sposo quest'ultimo: sul primo magari (…) ha influito il vento, sul secondo solo l'imbecillità.
Insomma, abbiamo, tra prestiti, cantera e titolari, un centinaio di portieri al nostro servizio, ma l'unico in proprietà è questo signore dalle mediocri qualità, mentre il nostro titolare appartiene ad altri e tutti gli altri o sono troppo giovani o li abbiamo distrutti nel morale. Direi che non c'è altro da aggiungere, no?


Almería: Esteban; Rafita, Trujillo, Torsiglieri, Dubarbier; Azeez, Verza; Aleix Vidal, Soriano (Hélder Barbosa, m. 57), Suso (Corona, m. 88): y Jonathan Zongo (Oscar Díaz, m. 92). No utilizados: Julián; M. Silva, H. Martínez y Tébar.
Atlético: Aranzubía 2; Manquillo 7, Godín 6, Miranda 6, Juanfran 6,5; Tiago 5 (Mario Suárez, m. 66 5,5), Gabi 6; Raúl García 5 (Adrián, m. 76 sv), Diego 5 (Sosa, m. 67 4), Arda Turan 4; y Diego Costa 5.
No utilizados: Bono, Insúa, Alderweireld y Cebolla Rodríguez.



Goles: 1-0, M. 79. Verza. 2-0. M. 85. Verza.
Árbitro: Teixeira Vitienes. Expulsó con roja directa a Aranzubía (m. 84) y amonestó a Soriano, Dubarbier, Diego y Raúl García.
10.958 espectadores en el Estadio de los Juegos Mediterráneos.

giovedì 6 febbraio 2014

Real Madrid – Atletico Madrid 3-0: ritorno al passato


Et voilà, la doccia fredda è servita. A tutti coloro che si domandavano se fossimo ormai alla pari con i nostri concittadini e se non fosse il caso di dichiarare apertamente che possiamo vincere la Liga, la partita di ieri, io credo, darà da pensare. La sconfitta, per di più, era stata annunciata da più di una prestazione discutibile, anche se ben nascosta da un filotto di risultati comunque inattaccabile. Io stesso, che pure ne avevo scritto, mi ero ormai convinto che le difficoltà fossero da attribuire prevalentemente all'impossibilità di mantenere alta la tensione in ogni momento di ogni partita. Invece ora mi domando se non ci sia qualcosa in più, come dirò fra poco.
Certo, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, dovremmo sottolineare il fatto che il Real abbia segnato due gol di vera fortuna e uno su errore di Courtois (insolitamente indeciso anche sui corner, difetto che palesava due anni fa), che Diego Costa sia stato picchiato oltre ogni decenza da personaggi squallidi come Arbeloa e Pepe, che solo la sorte abbia impedito a Godin di segnare il gol del 1-2.
A voler guardare l'altro lato della medaglia, dovremmo proprio ammettere che questo derby l'avremmo anche potuto vincere, SE CI FOSSIMO PRESENTATI IN CAMPO PER GIOCARLO. Invece non lo abbiamo fatto. Non siamo stati noi stessi, né siamo stati in grado di interpretare una parte differente: non abbiamo giocato all'attacco, né abbiamo difeso come nostro solito.
Il Real Madrid ha giocato con le nostre stesse armi: intensità, coesione, mutualità, forza fisica. E noi? Come un branco di scolaretti, siamo rimasti in mezzo al guado, forse addirittura negli spogliatoi.
Ho riconosciuto i colchoneros fino al 5' del primo tempo, poi il nulla. Anche il quasi gol di Godin, peraltro maturato nel secondo tempo, è venuto su calcio d'angolo, l'unico tipo di azione, insieme alla punizione dalla trequarti, che siamo stati in grado di sviluppare.
Alla fine, spiace dirlo, abbiamo assistito a un orrendo ritorno al passato: scegliete un Atletico a caso tra quelli degli anni scorsi, confrontatelo con quello di ieri e non noterete alcuna differenza.


La partita è stata persa sul piano tattico. Forzato in un 4-2-3-1 tagliato a misura su Diego, l'Atletico ha fallito proprio in quello che avrebbe dovuto essere il suo punto di forza, la coesione, e ha finito per non essere né carne né pesce. Molti hanno sottolineato l'eccessivo arretramento del baricentro come causa dello snaturamento dei colchoneros, ma io credo che ci sia molto di più e che questa partita permetta di mettere a fuoco le questioni che lo stravolgimento della squadra durante il mercato invernale (sì, avete letto bene, stravolgimento) e i primi infortuni hanno portato con sé.
Prima di tutto, Insua non è Filipe. Non lo è in primo luogo come giocatore, né in fase di spinta, né soprattutto in fase difensiva, dove palesa dei limiti notevoli (già ben noti dai tempi di Liverpool, lo sottolineo ancora una volta). Soprattutto, non lo è per i compagni, di cui si avverte la mancanza di una totale fiducia nei confronti dell'argentino. Ieri è stato messo in croce dai tagli e dalle percussioni di Jesé, ma in generale l'impressione è che, abituati al brasiliano, i compagni siano restii a giocare in avanti con la stessa tranquillità di prima sentendosi “protetti” da cotale compagno.
Già solo per questo, mi appare insensata la variazione del modulo proposta da Simeone: ha senso proporre un modulo offensivo a un gruppo che non si fida completamente della propria difesa?

Zone di attacco (in rosso l'Atletico): la fascia di Insua è stata la meno sfruttata; mentre si vede l'insistenza del Real Madrid nel proporre attacchi che allargassero il campo avversario. (Fonte El Pais)

Inoltre, a Raul Garcia non può essere chiesto di svolgere compiti per i quali non è adatto. Schierarlo come esterno alto significa impedirgli di fare bene l'unica cosa in cui riesce, cioè la percussione centrale e la copertura della coppia di centrocampo. La sua posizione in campo è stata oggetto di infinite dispute, finchè non si è finalmente capito che si tratta di una seconda punta particolare, capace di muoversi tra centrocampo e attacco senza perdere lucidità in avanti e anzi incrementando la copertura difensiva. Schierato sulla fascia, cosa dovrebbe fare: scattare in avanti, lui che scatto non ha? Inserirsi centralmente, pestando i piedi a Diego? Agire da centrocampista di contenimento su Cristiano Ronaldo? Inventare gioco, una delle richieste più assurde che gli possano essere fatte? Tenere la palla e far salire la squadra, quando le sue caratteristiche sono esattamente l'opposto? Mettiamoci in mente che è un gran professionista, nessun dubbio, ma anche un giocatore monodimensionale, buono solo a fare una cosa.
Ancora, il problema dell'Atletico, storicamente e anche con Simeone, è una zona centrale fragile a centrocampo. Ancora una volta, come più volte segnalato su questo blog, gli avversari hanno sfondato al centro, sfruttando la poca copertura fornita alla difesa dalla coppia Koke – Gabi. Come saprete, sono sempre stato un fan di Koke come pivote, il suo ruolo naturale, e non rinnego certo la mia idea. Però osservo due cose: in primis, il ragazzo non è affatto nel suo momento di massima forma, anzi; poi, avrebbe bisogno di avere al suo fianco un vero centrocampista di contenimento, per essere veramente efficace (diciamo un Gulavogui decisamente più aggressivo e “strutturato” di quello scialbo e opaco visto in questi mesi?). Non capisco, dunque, per quale motivo si insista su Koke in questo ruolo proprio in questo momento.
Davanti, i tre presunti moschettieri (Raul Garcia – Diego – Arda) non hanno svolto nessuno dei compiti loro affidati: non hanno tenuto palla nell'attesa della salita dei terzini, non hanno pressato gli avversari già dalla loro trequarti, non hanno imbeccato Diego Costa, non hanno impedito che terzini, centrocampisti e ali del Real aggredissero i nostri laterali e sfruttassero il vuoto ai lati del doble pivote. Perchè questo è stato, alla fine, il vero errore di Simeone: aver stravolto la squadra che, solo quattro mesi fa, aveva umiliato il Real proprio al Bernabeu. Ancelotti ha dichiarato che quella partita gli ha mostrato che la strada giusta per battere i colchoneros risieda nell'impedire che controllino la palla, puntando sul pressing esasperato e aumentando il centrocampo a tre uomini, uno dei quali, l'odioso Di Maria, ala costretta a giocare come mezzala, deputato a ribaltare il fronte e, soprattutto, a inserirsi negli spazi alle spalle dei centrocampisti dell'Atletico. E che tattica mette in campo Simeone? Un 4-2-3-1 che apre praterie proprio per il suddetto Di Maria, oltre a rompere il perfetto meccanismo di mutua protezione che finora aveva garantito il 4-4-2, guarda caso il modulo della partita di campionato di quattro mesi fa. Anche perchè gli spazi sono stati creati, aggiungo, dai continui raddoppi dei blancos sulle fasce, con conseguente obbligo dei nostri giocatori offensivi ad arretrare per garantire una copertura e a trovarsi poi molto lontani dalla porta avversaria al momento di far salire la squadra.

La differenza tra il gioco armonico del Real, capace di sfruttare tutto il campo, e quello raffazzonato dell'Atletico è ancora più evidente. Si noti la concentrazione avversaria sulla trequarti dell'Atletico e le difficoltà di quest'ultimo sulla fascia sinistra e in mezzo alla propria area. (Fonte El Pais)



Ora arrivo al vero punto della discussione: perchè tutto questo? Perchè una squadra che funziona come un orologio anche nelle giornate meno positive (fino a ieri erano 26 partite e una sola sconfitta) viene stravolta a tal punto proprio nella giornata più importante? Perchè tutti vengono messi in condizione di giocare in maniera differente da quella cui sono abituati o in cui rendono meglio? Purtroppo temo che la spiegazione abbia un nome e un cognome precisi, ovverosia Diego Ribas da Cunha. Ieri il brasiliano è stato molto più che inutile: è stato dannoso, come ha implicitamente riconosciuto Simeone cambiandolo al 45' con uno stralunato Rodriguez, giocatore tra l'altro dalle caratteristiche completamente diverse (una sconfessione in piena regola, dunque).
In generale, però, l'ho sempre trovato più bello che utile: tiene troppo la palla, rallenta spesso il gioco, tende ad accentrare la manovra, segna poche reti, soffre le marcature asfissianti e scompare nei match con pochi spazi. Non ricordo che poche partite in cui abbia acceso la luce e molte nelle quali abbia spesso creato un intoppo allo sviluppo della manovra. Per far giocare lui, che nelle intenzioni del Cholo avrebbe forse dovuto tenere la palla e far salire la squadra, metà dei suoi compagni hanno giocato fuori-ruolo o secondo modalità differenti dalle solite, con grave danno all'equilibrio del collettivo. Tra l'altro, il Cholo forse si è dimenticato del fatto che Diego è bravo negli spazi aperti, gli stessi spazi che però difficilmente sa aprire per i compagni.
A questo punto, se davvero l'intenzione di Simeone è schierarlo sempre o quasi e farne il perno di una trasformazione in senso più offensivo e tecnico del gioco dei colchoneros, mi domando se il gioco valga la candela. Vorrebbe dire meno spazi in squadra per Villa, Koke, Raul Garcia e Tiago (alcuni costretti a giocare spesso fuori ruolo), meno opportunità sul campo per un Diego Costa che rischia di essere servito con molta meno velocità di prima e di trovarsi unico uomo in attacco, meno copertura non tanto da parte del brasiliano (che si è sempre sacrificato molto davanti al doble-pivote), ma da parte di chi lo affianca, a meno di non giocare sempre e comunque con un doble-pivote muscolare (Mario-Gabi) che abbia l'unico compito di cedere il prima possibile la palla in avanti a chi crea. Aumenta insomma il rischio di perdere le caratteristiche di squadra capace di ribaltare il fronte in un attimo; mentre l'aumento di tasso tecnico (per cui si è preso anche Sosa) è innegabile, ma ancora tutto da tradurre in pratica sul campo. Il tutto con tre giocatori di valore (Leo Baptistao, Guilavogui e Oliver Torres) in meno, anche se non ci si può opporre alla richieste di andare in prestito di giocatori scontenti.
In ogni caso, Simeone ha dato l'impressione di cercare, con questo mercato invernale, di voler ribaltare l'impronta ormai consolidata data alla squadra, operazione non facile ma che ritiene di poter portare a termine in considerazione della sua completo controllo di uomini e menti. A questo punto mi domando non solo se abbia scelto gli uomini giusti, ma anche se abbia scelto il momento adatto. Certo non lo era un derby di coppa, certo rischia di non esserlo un periodo in cui cominciano infortuni e cali di forma (Arda il più evidente, anche in considerazione del fatto che anche l'anno scorso sparì da gennaio).


Non resta che attendere.




Real Madrid: Casillas; Arbeloa, Pepe, Ramos, Coentrão; Xabi Alonso, Modric, Di María (Illarramendi, m. 82); Jesé (Isco, m. 84), Cristiano Ronaldo y Benzema (Morata, m. 73).
No utilizados: Diego López; Marcelo, Varane y Carvajal.


Atlético: Courtois 5; Juanfran 5, Miranda 4, Godín 5, Insúa 4; Gabi 5, Koke 5; Raúl García 5 (Sosa, m. 70 4), Diego 3 (Cebolla Rodríguez, m. 46 4), Arda Turán 4 (Adrián, m. 61 4); y Diego Costa 4,5.
No utlizados: Aranzubia; Alderweireld, Tiago y Manquillo.



Goles: 1-0. M.18. Pepe. 2-0. M.58. Jesé. 3-0. M. 74. Di María.
Árbitro: Clos Gómez. Mostró amarilla a Pepe, Diego Ribas, Diego Costa, Juanfran, Miranda y Simeone.
74.278 espectadores en el Bernabéu. Se guardó un minuto de silencio por Luis Aragonés.


lunedì 3 febbraio 2014

Atletico Madrid – Real Sociedad 4-0: ¡Lideres!


Come in una favola, raggiungiamo la vetta nel giorno più giusto, quello dell'omaggio a Luis Aragones, la più pura incarnazione dell'essere colchonero.
Come in ogni favola che si rispetti, d'altra parte, il cammino è stato periglioso e lungo, cosparso di difficoltà e di titubanze. Anche perchè l'avversario di ieri era il peggiore che ci potesse capitare, quella Real Sociedad che, pur non essendo la meravigliosa squadra dell'anno scorso, è dura e poco disposta a fare da vittima sacrificale. E il fatto che sia finita 4-0 non deve trarre in inganno: i baschi sono stati tutto tranne che arrendevoli, hanno perso ma non sono stati demoliti e, anzi, hanno rischiato di far finire la favola proprio sul più bello.

Che l'Atletico, visibilmente emozionato per l'omaggio a Luis, fosse determinato a chiudere i giochi e ad approfittare del passo falso del Barcellona, si era capito subito. Aggressivi, concentrati, i colchoneros avevano progressivamente chiuso gli ospiti nella loro metacampo, riuscendo anche a disinnescare il pericolosissimo contropiede per cui i baschi sono famosi.
La manovra biancorossa, che nelle intenzioni avrebbe dovuto essere avvolgente, non si dispiegava tuttavia al meglio: se il recuperato Mario Suarez mostrava una tonicità inaspettata, mancava creatività sulle ali, soprattutto da parte di un Sosa che, ancora una volta, ha mostrato dettagli di buon calcio ma poco amalgama con i compagni.
D'altra parte il piano della Real Sociedad era chiarissimo: esercitare una forte pressione sul doble pivote dei colchoneros, per bloccarne il gioco costringendo Miranda e Godin a saltare il centrocampo con lanci lunghi facile preda della difesa biancoazzurra. Fintanto che Gabi e Mario hanno retto, il giochetto ha rallentato ma non del tutto fermato la manovra atletica, che scorreva lenta e farraginosa ma comunque viva. Nel secondo tempo, come vedremo, le cose sono andate molto diversamente.
In ogni caso, la partita viveva di poche emozioni, finchè al 38' un giocatore dei baschi si faceva rubare palla da Insua, che scattava al centro e allargava sulla fascia a Diego Costa: il brasiliano crossava al centro e Villa fulminava il portiere avversario.
Il primo tempo si chiudeva con l'Atletico padrone del campo e del gioco, nonostante l'infortunio muscolare di Villa poco dopo il gol.

Nel secondo tempo, però, la musica cambiava alla svelta: la Real aumentava la pressione, costringendo tra l'altro anche i nostri terzini a mantenersi bassi e alzando il proprio baricentro. Gabi e Mario calavano e così i baschi riuscivano a frantumare la coesione dei colchoneros: coi centrocampisti e i terzini schiacciati sulla linea dei difensori e questi ultimi costretti a sparacchiare in avanti a caso, le ali andavano in difficoltà e l'attacco rimaneva abbandonato. Stretti nella morsa tra spezzarsi in due o resistere chiudendosi nella propria area, i colchoneros sceglievano la seconda opzione: le ali venivano spinte all'indietro e in avanti rimaneva il solo Costa ma questo, lungi dal rafforzare la resa difensiva dell'Atletico, lo indeboliva progressivamente, poiché lo sottoponeva alla tensione legata alla perdita immediata del pallone. In particolare, Insua andava in evidente affanno contro Xabi Prieto e i raddoppi di Vela, macchiando così la sua fin lì buona prestazione.
I pericoli rimanevano relativi: di fatto la pressione dei baschi si traduceva in continue punizioni dalla trequarti e dirette in area, facili prede di Courtois. Aleggiava comunque la sensazione di un pericolo sottile, quello cioè di poter subire un gol in mischia.
A quel punto Simeone prendeva la sua decisione. Io avrei fatto uscire uno spento Mario per Diego, ponendo Koke al suo posto, una mossa banale e prevedibile; ma il Cholo, che SA, ha valutato che un Mario stanco fosse meglio di un Koke stanco, come diga, e che la fantasia e la capacità di tenere palla di Sosa fossero ormai esaurite. Quindi dentro Diego a tener palla davanti ai due centrocampisti centrali e largo a Koke e Raul Garcia nel ruolo di supporti destinati ad allargare il gioco nel mai troppo abusato 4-2-3-1.
Sarà un caso (e ovviamente, col Cholo di mezzo, non lo è), ma dopo il cambio, in pochi minuti, i colchoneros ammazzano la partita: al 72', sull'unico altro errore dei baschi, Raul Garcia ruba palla e lancia Costa sul filo del fuorigioco. Il brasiliano si invola verso la porta di Bravo e non c'è storia.
Due minuti dopo, su calcio d'angolo di Koke, Miranda brutalizza la difesa ospite e segna il terzo gol.
Distrutti, i baschi mollano: niente più pressione sui portatori di palla, di nuovo ampi spazi per i colchoneros. Arriva così il quarto gol, del figliol prodigo Diego, pescato solo in area dal Cebolla Rodriguez.

Resta, di una partita non perfetta, una sensazione netta, già emersa, per esempio, nella notte di Porto: nel momento peggiore, l'Atletico ha trovato il gol che ha capovolto le sorti del match, come a Bilbao in coppa. Ora, i nostri detrattori non mancheranno di sottolineare l'incredibile fortuna che ci protegge; tuttavia, i numeri della stagione parlano di una sola sconfitta fino ad oggi e quelli della partita di ieri di due errori su due degli avversari puniti con spietatezza inumana.
Morale: siamo primi perchè ce lo meritiamo. E adesso, che provino pure a venirci a prendere.


Note positive
Diego Costa: segna un altro gol “alla Costa”, il ventesimo in Liga, e ci consegna su un piatto d'argento il primo posto. Tecnicamente non è perfetto, ma la sua capacità di supplire con la forza ad una tecnica non perfetta è incredibile. E poi, da qualche partita, ha imparato a passare la palla ai compagni...
Insua: sappiamo dai tempi di Liverpool che difendere non è il suo forte, infatti sulla sua fascia, nel secondo tempo, si balla parecchio (col concorso di Sosa, sia chiaro). Comunque il primo gol è suo e la prestazione, nel complesso, è discreta.

Note negative
Sosa: avrei voluto scrivere “nessuna”, sarebbe stato più corretto, visto che comunque giocando ogni tre giorni non si può certo essere perfetti. Ma ci metto il “Principito”, che regala dettagli interessanti, ma è ovviamente ancora avulso dalla trama collettiva imbastita dal Cholo.




Atlético: Courtois 6,5; Juanfran 6, Miranda 6,5, Godín 6,5, Insúa 6,5; Sosa 5,5 (Diego Ribas, m. 58 7), Gabi 7, Mario 6,5, Koke 6,5 (Cristian Rodríguez, m. 81 sv); Villa 6,5 (Raúl García, m. 41 6) y Diego Costa 8.
No utilizados: Aranzubia; Alderweireld, Adrián y Manquillo.

Real Sociedad: Claudio Bravo; C. Martínez, Iñigo Martínez, Ansotegi, José Angel; Rubén Pardo, Gaztañaga; Xabi Prieto, Zurutuza (Agirretxe, m. 65), Griezmann (Seferovic, m. 81); y Carlos Vela (Chory Castro, m. 81).
No utilizados: Zubikarai, Zaldúa, M. González y J. Ros.
Goles: 1-0. M. 38. Villa. 2-0. M. 72. Diego Costa. 3-0. M. 73. Miranda. 4-0. M. 86 Diego Ribas.
Árbitro: Estrada Fernández . Amonestó a Miranda, Koke, Raúl García y Zurutuza.
54.000 espectadores en el Vicente Calderón.


domenica 2 febbraio 2014

DIchosos los que creyeron sin haber visto



Non è stata una partita facile. Non abbiamo giocato con la sicurezza che sempre vorremmo avere. Ma non abbiamo mai mollato. Come ci ha insegnato il Cholo. Come ci ha mostrato Don Luis. E abbiamo vinto ancora.


Non importa come andrà a finire.

Importa solo che oggi

DON LUIS sarà FIERO DI NOI





sabato 1 febbraio 2014

Addio al più grande




Avrei voluto scrivere della vittoria di Bilbao, del ritorno di Diego, delle prospettive, tattiche e sportive, per la seconda parte della stagione. Avrei voluto, appunto.


Ma poi ho letto della morte di Don Luis Aragones.


E questo è il post che mai avrei voluto scrivere, quello che mi dà più dolore.
Perchè Luis Aragones non è semplicemente stato un grande giocatore dell'Atletico, con 372 presenze in biancorosso; non detiene soltanto il record di gol segnati coi colchoneros, 172 tra tutte le competizioni.
È stato l'Atletico Madrid.


C'era nella notte di Bruxelles, quando invitò i compagni a non farsi abbattere e a pensare alla partita successiva. C'era quando al Calderon l'Independiente venne battuta 2-0 e ci laureammo campioni del mondo. C'era quando l'Atletico fu promosso di nuovo in Prima Divisione. C'era quando tornammo a vincere, nel 1985, dopo anni di disastro tecnico, morale e sportivo. C'era ancora, sempre lui, quando nel 1992 saccheggiammo il Bernabeu con una squadra fantastica e sembrammo finalmente riuscire a costruire qualcosa nella palude del Gilismo.


Quest'uomo brusco, diretto, amante “dei tori, della televisione, dei libri e del teatro”, capace di affrontare umiliazioni e insulti pur di difendere le proprie idee e di fare ciò che riteneva giusto, se n'è andato così, a 75 anni, in silenzio, come piaceva a lui, che non ha mai amato le parole inutili buone solo per mettersi in mostra. Lui, che della vita a schiena dritta aveva fatto il suo credo. Lui, che credeva che la sua rotta fosse tracciata solo dalla faccia onesta che, la sera, avrebbe visto nello specchio.
Lui, che non ha esitato a dire più volte, con chiarezza, che gli attuali padroni del club sono una sciagura, quegli stessi miserabili che, dopo averlo allontanato per le sue parole, ora raccontano urbi et orbi del loro splendido rapporto con Luis.


Di fronte a una notizia così, non ci sono altre parole. Sentiamo solo di aver perso una parte della nostra identità, un faro di rigore e onestà nel buio di un mondo piagato da opportunisti, ipocriti e inetti.
Mi piace pensare che, prima di lasciarci, abbia volto un'ultima volta i suoi pensieri alla squadra in cui amava dire di essere “cresciuto e diventato uomo”.


A lui non posso dedicare altro che le parole di un altro grande colchonero, il portiere Miguel San Romàn:  
Non concepisco la mia vita senza l'essere stato parte dell'Atletico Madrid”