martedì 27 maggio 2014

Real Madrid – Atletico Madrid 4-1 dts: a proposito della giustizia poetica...


Chiunque non sia completamente digiuno di letteratura conoscerà, sia pure per sommi capi, il concetto della giustizia poetica, ovvero quel particolare meccanismo narrativo, tipico dell'epica, per il quale l'eroe, bello, coraggioso e indomito, vince contro tutto e tutti e così afferma non solo la propria eccezionalità, ma anche la straordinaria importanza dei valori che incarna. Naturalmente, la lotta è dura e vede il protagonista rischiare di soccombere più e più volte. Alla fine, però, facendo appello a tutta la propria interiorità e al valore eterno delle proprie convinzioni, il nostro sconfigge il Nemico e riafferma la Giustizia.
Splendido, vero? Peccato che la Giustizia Poetica non esista. Sicuramente non esiste nella Vita. Spesso non esiste neppure nella poesia, a dire il vero...
Se esistesse, tanto per essere chiari, la finale di Champions' sarebbe stata vinta dall'Atletico, capace, pur menomato da infortuni e da una stagione logorante, di affrontare a testa alta un Real Madrid dall'inefficacia pari solo allo sperpero di denaro che questa è costata nell'ultimo decennio.
Invece, somma crudeltà degli dei, l'Atletico non solo ha perso dopo aver lungamente condotto nel punteggio, ma lo ha fatto proprio all'ultima curva, quando ha subito il pareggio che, di fatto, ha tagliato le gambe ai colchoneros, ormai in debito di ossigeno da minuti.
Ulteriore crudeltà, i biancorossi hanno dovuto assistere all'arroganza senza ritegno dei blancos, impegnati a mostrare il peggior volto del peggior potere politico-sportivo esistente in Europa. In realtà, c'è veramente qualcuno che si stupisce della malignità e della spudoratezza del Real Madrid? Come i più odiosi personaggi dei romanzi e della storia, i nostri avversari, dimentichi di essere stati i favoriti d'obbligo (per prestigio, tecnica, potere economico e mediatico) e di aver in fondo compiuto solo il loro dovere di fronte a una squadra molto meno forte di loro, hanno festeggiato ignobilmente come da loro costume. Sia in campo che in tribuna, mi sento di aggiungere, visto che l'abbraccio tra Florentino Perez e José María Aznar, ex primo ministro, è un'immagine che andrà rinfacciata a tutti gli idioti che negano il legame a doppio filo tra Real Madrid e potere politico iniziato ai tempi di Franco, rinfacciando a noi o al... Barcellona (vi giuro che ho sentito anche questa!) di essere stati la squadra favorita dalla dittatura.
Particolarmente ripugnante mi è parsa la mancanza di rispetto di un cristiano ronaldo (le minuscole sono volute), autore di una partita miserabile e di una esultanza sguaiata per la rete su rigore a partita ormai finita. In generale tutti, però, mi sono parsi ben sopra le righe, segno neanche troppo difficile da interpretare: hanno proprio avuto paura, di noi e della figuraccia che rischiavano di fare (e per quanto mi riguarda, hanno fatto), strapagati campioni incapaci di vincere contro una squadra costata un decimo.
Mettetevi nei panni dei nostri avversari: anche se la tutta la stampa spagnola suona la fanfara per loro, in fondo sanno benissimo che hanno vinto solo grazie alle nostre difficoltà e agli infortuni dei nostri giocatori (essere stato pagato 102 milioni di euro e scoprire che per segnare nella partita più importante della tua carriera hai avuto bisogno che il tuo diretto avversario non riuscisse più a muoversi per i crampi deve bruciare parecchio, quando ti guardi allo specchio).
In Spagna vi direbbero: “Los vikingos son así”, frase spesso accostata a quest'altra: “El Atlético es diferente”.
Un giorno, forse, scriverò per quale motivo sono dell'Atletico, come e quando mi è capitato. E probabilmente chiederò a voi lettori di raccontarmi come e quando è successo a voi. Per ora, però, consiglio a tutti di mostrare le immagini sguaiate della festa merengue per spiegare perchè non possiamo essere del Real e perchè c'è gente, tanta gente, al mondo, che si ostina a credere che la vittoria non sia tutto e a tifare per squadre che non vincono così spesso come (poche) altre e, quando lo fanno, conoscono il significato della parola “rispetto”.
La vittoria non è tutto. La vittoria ad ogni costo non mi interessa.




Paradossalmente, parlare di calcio, a questo punto, è superfluo. D'altra parte, sarebbe ugualmente paradossale se in questo blog non dedicassi neppure una riga alla partita più importante della stagione biancorossa.
Più ci penso, più mi rendo conto che il punto di svolta è stato non il gol di Ramos, ma un episodio sfuggito ai più e accaduto poco prima.
Minuto 89, l'Atletico guadagna una punizione sulla trequarti avversaria: Koke, Gabi e Sosa confabulano parecchio, si scambiano cenni del capo e sembrano compiacersi di una brillante idea che hanno appena avuto. L'argentino va sulla palla e tira una parabola floscia direttamente tra le mani di Casillas. Sul rilancio del portiere, la palla ha cominciato a rotolare inesorabilmente verso l'interno della nostra rete.
Si sarebbero potute fare molte cose, con quella punizione: cercare l'angolo, perdere del tempo tenendo la palla nella metacampo avversaria, forse anche cercare di sorprendere il portiere avversario e chiudere così la partita con un 2-0 che avrebbe stroncato i nostri avversari. E invece... la palla è stata deliberatamente buttata via. E con lei la partita. Chissà se mai sapremo cosa volevano fare i tre, se verrà fuori che Sosa non ha rispettato i piani o se qualcosa li ha modificati proprio all'ultimo. Sta di fatto, ripeto, che la partita l'abbiamo persa allora. Contro il Barça, al Calderon, i biancorossi erano riusciti a rimanere minuti interi intorno alla bandierina del calcio d'angolo avversaria, ricordate? Non riesco a togliermi dalla mente l'idea che, se i nostri avessero fatto così, saremmo campioni d'Europa.
Allora, però in campo c'era Diego Ribas, giocatore dai grossi limiti ma capace di fare l'unica cosa necessaria in quel momento: tenere la palla incollata ai propri piedi.


E qui compare l'altra chiave di lettura del match o, per meglio dire, il peccato originale da cui è scaturita una cascata di conseguenze strettamente concatenate tra loro: Diego Ribas non c'era perchè una sostituzione era stata fatta dopo soli otto minuti, a causa dell'infortunio patito praticamente alla prima azione da Diego Costa.
Ecco, a mio parere la differenza tra la vittoria e la sconfitta sta tutta qui, nella presenza di Diego Costa come titolare dall'inizio. Naturalmente, non credo di esprimere un'opinione particolarmente originale, ma non è mia intenzione.
Semplicemente, mi domando: com'è possibile che un giocatore infortunato in maniera seria sia stato considerato abbastanza guarito da poter non solo giocare, ma anche giocare bene (leggasi: sostenere quasi interamente il peso dell'attacco) in una partita di questa importanza? Un giocatore che già una settimana fa, in un'altra partita fondamentale, aveva avuto una ricaduta dopo pochi minuti?
Tralascio volutamente gli aspetti tattici e psicologici legati alla scelta di schierarlo in campo dall'inizio e mi concentro invece su quelli medici: com'è possibile che nessuno abbia detto chiaro e tondo che Diego Costa non poteva giocare? Non mi si dica che il test pre-partita era andato bene: tre o quattro scatti senza forzare non sono novanta minuti di lotta, di falli, di cambi di ritmo e direzione! E poi non è possibile ritenere che un infortunio per cui è necessaria una convalescenza di 2-3 settimane sia considerato totalmente superato dopo sette (!!!) giorni?
Aggiungo e rilancio: Adrian, il suo sostituto, era stato fatto scaldare come un titolare, ma poi mandato in panchina, segno che non c'era poi totale fiducia nei confronti di Costa. È poi notizia di oggi che il brasiliano aveva mostrato segnali di dolore già durante il riscaldamento.
Insomma, col senno di poi, la decisione di far giocare il brasiliano è stata veramente disastrosa e la situazione appare ogni giorno di più gestita in maniera dilettantesca.


Di fatto, come ho già detto, ci siamo giocati la possibilità di un cambio fondamentale, se non altro per perdere tempo e far respirare la squadra, nei momenti finali. Anche da qui è conseguita la stanchezza di cui i colchoneros sono stati vittime negli ultimi venti minuti.


A quel punto la squadra, stremata, ha commesso un altro errore in cui eravamo incorsi parecchio negli ultimi tempi: difendere troppo bassi, non giocare né tenere la palla, fidando nelle notevoli abilità nel gioco aereo dei nostri centrali. Siccome, come avevamo già scritto, l'errore, in situazioni di mischia, può sempre capitare, ecco spiegato il gol di Ramos. Il difensore del Real è noto per la sua capacità di inserimento di testa sui calci piazzati; tuttavia, non è stato affatto marcato in occasione del corner da cui è nato il pareggio. Tiago si è fatto sopravanzare in maniera molto netta, ma non è corretto addossare al portoghese (peraltro autore di un altro gravissimo errore in disimpegno nel primo tempo) una colpa che ha solo in parte: altri più abili di lui avrebbero forse dovuto curare un tale avversario. In ogni caso, il punto rimane lo stesso: sono errori frutto di stanchezza e mancanza di lucidità, estreme conseguenze di un processo iniziato, come abbiamo già visto, molto prima.


Subito il gol del pareggio, non ci sono stati più dubbi sul fatto che la partita fosse ormai persa: l'Atletico, stanco e demoralizzato, era vittima di infortuni di vario tipo, soprattutto negli uomini che sono stati spremuti maggiormente per tutta la stagione, ovverosia Filipe, Koke e Juanfran. Quest'ultimo è rimasto in campo per mancanza di sostituzioni e la sua inabilità è costata il gol del 2-1 avversario.


In conclusione: senza Arda e Diego Costa, la partita era decisamente in salita. Una volta segnato con l'ennesimo gol di Godin, si sarebbe comunque potuta vincere, con un po' di accortezza in più e con uno sforzo maggiore nella gestione della palla. Accortezza e capacità gestionale pesantemente inficiate dal numero limitato di cambi a disposizione di Simeone.
Non voglio però che questa osservazione appaia un'accusa al Cholo. O meglio, credo sia giusto sostenere che lui e il suo staff, per vari motivi, non sono stati in grado di preparare la partita con la solita accortezza.


Tuttavia la questione è probabilmente ancora più vasta e riguarda la gestione della società nel suo complesso.
Per chiarire meglio quest'ultimo punto, vorrei partire da quello che molti hanno identificato come un dato estremamente positivo della nostra finale: la prestazione-monstre di David Villa. L'asturiano ha corso per due, macinato chilometri, gettato tutto se stesso sul campo fino all'ultimo secondo. Splendido, davvero. Tuttavia, non ha mai tirato in porta. Vale a dire, il nostro secondo miglior attaccante non si è affatto distinto per le abilità per cui è stato comperato. Con lui e Adrian, l'Atletico è stato assolutamente nullo in avanti. E qui arriviamo al punto: se il centravanti si limita a correre e a coprire, a cosa serve che in quel ruolo sia schierato un attaccante? Tanto varrebbe mettere in campo un centrocampista di contenimento...
Alla fine, al di là degli errori individuali di chicchessia, ha pesato l'esiguità della rosa: la mancanza di un'alternativa a Diego Costa (non dico sul piano testuale, ma almeno su quello dell'efficacia realizzativa), l'assenza di alternative valide per quasi tutti i ruoli chiave del gioco, la mancanza di fiducia nei confronti di giocatori che avrebbero potuto dare una mano nel corso della stagione. Altra questione è se queste alternative fossero di qualità e anche qui la risposta non può che essere negativa: ci sarà modo di sviluppare il discorso in post dedicati al rendimento dei singoli e alle propspettive future, però posso già dire che giocatori come Rodriguez, Sosa e Diego sono stati profonde delusioni. Altri magari più utili, come Leo Baptistao, Guilavogui e Saul, sono stati mandati a farsi le ossa altrove.
Non voglio che questo appaia il classico discorso che si fa perchè Simeone ha perso, mentre fino al 93' ero pronto a scrivere tutt'altro (quello che hanno fatto tutti su Ancelotti, improvvisamente assurto a genio...), perchè non è così: semplicemente, come ho più volte scritto, credo che il Cholo sia stato fantastico nel fare le nozze coi fichi secchi, ma (per continuare la metafora) che alcuni di questi fichi li abbia scelti lui e abbia una (piccola) parte di colpa nel mare assoluto di meriti. La temporada dei colchoneros resta fantastica, lo dico in maniera chiara e netta.
E allora di chi è la colpa? Voglio essere altrettanto chiaro e netto: le gestioni scellerate degli ultimi anni hanno creato i presupposti per avere una rosa scarna e piena di lacune. Che Simeone, con una rosa così, abbia quasi ottenuto il massimo in 61 partite di alto livello è solo un merito dell'uomo, incredibile nella sua abilità. Però, ragazzi, non scherziamo: l'Atletico non è stato costruito al risparmio per una precisa strategia; lo è stato perchè anni di deriva morale e finanziaria hanno portato a questa come unica strada obbligata per evitare un fallimento che, ormai, era proprio dietro l'angolo.


Onore al Cholo, al suo entourage e ai giocatori, dunque. Ma non esageriamo coi complimenti per gli altri...


martedì 20 maggio 2014

Barcellona – Atletico Madrid 1-1: iiiCampeones!!!


Me siento mejor con problemas
que cuando las cosas están tranquilas”
Diego Pablo Simeone


Maggio 1996. In ritiro a Los Angeles de San Rafael, i giocatori dell'Atletico faticano a dormire, inseguiti fin dentro le loro stanze da un figuro che ripete loro in continuazione: “O ganamos o morimos ganando”. La litania proseguirà, raccontano, anche sull'autobus che porta i colchoneros alla decisiva sfida per il titolo contro l'Albacete. La partita finirà 2-0 e a segnare il primo gol, con un fragoroso colpo di testa su punizione dalla trequarti, sarà proprio il losco figuro, al secolo Diego Pablo Simeone.


Diciotto anni dopo, in piena isteria pre-Barcellona, un solo uomo sparge tranquillità e ottimismo tra la fila scorate dei giocatori e dei tifosi biancorossi. Sempre lui: Diego Pablo Simeone. Nelle sue parole, solo la gioia di giocarsi tutta la stagione in due gare secche, contro le due rivali storiche.


In campo, in effetti, nessuna paura. L'Atletico ha cominciato bene, imbrigliando gli avversari, pressando alto e dimostrando di poter controllare abbastanza agilmente la partita. Però, siccome siamo quello che siamo e non possiamo semplicemente vincere, alla nostra partita mancava l'ospite più affezionato, quello che non manca mai, neppure quando si cerca in tutti i modi di evitarlo: la Sfortuna.
Quindici minuti e Diego Costa, su uno scatto, si ferma e fa segno di non poter continuare. Altri sette minuti e Arda Turan, dopo un normalissimo scontro di gioco, si accascia e chiede la sostituzione.
Ventidue minuti di gioco e le due punte di diamante dei colchoneros sono costrette ad abbandonare il campo. Sono due gran brutti colpi, di quelli che stroncherebbero un bisonte.


L'Atletico, in realtà, non pare particolarmente scosso dalla mala sorte: sa che basta un pareggio e che sta giocando bene. Sa che la partita può essere condotta in porto comunque: molte volte, nel corso della stagione, è uscito indenne da situazioni ben peggiori. Per di più, gli avversari giocano lentissimi, ruminando un pallone di cui non sanno cosa fare. Qualche tiro da lontano, qualche cross senza un vero costrutto.
La partita è in perfetto equilibrio. È il momento giusto, dunque, per subire il terzo terribile colpo della Sorte: Alexis Sanchez raccoglie un pallone controllato da Messi e scaglia una folgore imprendibile nella porta biancorossa. Un tiro fantastico, va detto, ma di quelli che riescono una volta sola nella vita (e ovviamente contro l'Atletico, ça va sans dire...).




Avevamo buttato via la partita […], provai quel
terribile sentimento che avevo già provato da piccolo:
odiavo l'Arsenal, e il club era un fardello che non
riuscivo più a sopportare, ma di cui non sarei mai e poi
mai riuscito a liberarmi. […] mi sedetti, troppo stordito
dal dolore e dalla rabbia e dalla frustrazione e dall'
autocommiserazione per restare in piedi”
Nick Hornby, “Febbre a 90'”


A quel punto, in pieno sbandamento, l'Atletico è stato a un passo dal tracollo: un altro gol, e le gazzette si sarebbero riempite di elogi alla resurrezione blaugrana. O almeno così credo, perchè di quella mezz'ora non ho nessuna memoria.
Dietro a un velo di lacrime, non riuscivo a pensare ad altro che al dolore di veder svanire il traguardo proprio all'ultimo, dopo averlo corteggiato e assaporato a lungo. Non vedevo lo schermo, non udivo la telecronaca. Buio. Buio totale e lacrime di rabbia e scoramento.
Il calcio è così, pensavo. La vita è così, pensavo. Una squadra scesa in campo senza capo né coda, arrivata all'ultima spiaggia senza neppure bene sapere perchè, guidata da un allenatore inconsapevole, piena di giocatori scoppiati che andavano avanti a forza di inerzia, rischiava di vincere un campionato immeritato. E noi, noi che questo campionato ce lo eravamo sudato e guadagnato con la fatica e il lavoro, noi avremmo dovuto cedere le armi. Dov'è il merito, nella vita, se non c'è neppure nel calcio? A cosa servono anni di sacrifici, se poi basta un colpo fortunato a far pendere la Bilancia dalla parte di chi, ricco e viziato, non ha fatto nulla per meritarsi regali dalla Sorte?
Possibile che debba sempre andare a finire così, con l'Atletico? Possibile che ogni traguardo debba essere da noi meritato non una, ma due o forse anche tre volte? Non sarebbe, ogni tanto, rilassante vincere in maniera netta, chiara e immediata fin da subito?




Ma poi Alan Sunderland mise il piede sul pallone,
lo infilò dentro, proprio nella porta di fronte a noi,
e io non gridai «Sì» o «Gol» o uno di quei versi che
normalmente mi salgono dalla gola in questi momenti,
ma solo «AAAARRRRGGGGHHHH», un rumore che
nasceva da gioia assoluta e incredulità, e improvvisamente
ci furono di nuovo persone sulle gradinate di cemento,
ma stavano saltando una sull'altra, con gli occhi fuori dalle
orbite e impazzite”
Nick Hornby, “Febbre a 90'”


Stavo per chiudere tutto e andarmene altrove, qualunque cosa questo potesse significare, quando David Villa ha colpito il palo, subito in avvio di secondo tempo. Non ricordo l'azione, ma solo l'urlo del telecronista, che è penetrato, strato dopo strato, nel mio dolore, si è fatto strada tra le mie lacrime e mi ha riportato piano piano alla realtà.
Allora ho rimesso a fuoco la vista e ho visto che mia figlia, questo piccolo frugoletto cui ho fatto per mesi un lavaggio del cervello che neanche nelle peggiori dittature e che aveva passato giorni e giorni a girare per casa cantando “Aleti! Aleti!”, aveva messo sul tavolo, accanto al computer, il suo ciuccio dell'Atletico.
Doveva essere entrata mentre ero obnubilato dal dolore. D'istinto, ha fatto un gesto che non potevo non intendere come una promessa di Speranza.
Allora mi sono vergognato di me stesso, di essermi fatto vedere così. “È questo che farebbe il Cholo?”, ho pensato. “O piuttosto non combatterebbe con tutto se stesso, perchè si perde solo dopo la fine, non prima?”.
Ho guardato lo schermo e ho visto Gabi dirigersi verso la bandierina del corner. Parabola arcuata, salto di qualcuno in mezzo all'area e... la mia mente non voleva crederci... la palla era DENTRO!!!... Godin veniva travolto dai compagni!!!... ma accade veramente???... sta accadendo veramente???... è 1-1, è 1-1!!!!!! Lo diceva il Cholo!!!... Lo diceva!!!...




Thomas superò la difesa, da solo, e l'Arsenal ebbe
una possibilità di vincere il Campionato. […] e anche
allora scoprii che mi stavo trattenendo, memore dei
recenti errori rimanevo chiuso in un temprato scetticismo,
pensando, be', se non altro ci siamo andati vicini,
invece di pensare: per favore Michael, per favore Michael,
per favore mettila dentro, Dio fa che segni. E poi era lì
che faceva capriole, e io ero lungo disteso per terra,
e tutti in salotto saltavano sopra di me.
Diciott'anni, tutti dimenticati in un secondo
Nick Hornby, “Febbre a 90'”


A questo punto, vorrei dirvi di aver riacquisito tutta la granitica certezza che deriva dal Cholismo. Sarebbe bello, eh? Ma invece no.
Certo, ho stretto in mano il ciuccio comperato a Madrid e ho cullato in me la sicurezza nascosta che ormai era fatta, che dopo un Segno così non ci poteva essere sconfitta; ma in realtà sobbalzavo ogni volta che il Barcellona usciva dalla propria area. Il che vuol dire quasi sempre, visto che i colchoneros, dopo la vibrante fiammata dei primi quindici minuti del secondo tempo, ritornavano pian piano a essere schiacciati nella propria metà campo.
Stanchi, i nostri resistevano come potevano contro un Barça più velleitario che efficace: Miranda giocava come un dio greco, Godin lottava come un Ciclope, mentre Filipe e Sosa cercavano in tutti i modi di imbastire contropiedi, Gabi e Koke correvano per venti e Tiago ci metteva l'anima.


I minuti passavano e i nostri avversari, benchè padroni del campo, non creavano pericoli.
Perfetto, se non ci fosse stato quel fastidioso precedente nel primo tempo... però ora avevo il ciuccio e la Speranza, pensavo. E se subiamo un gol proprio all'ultimo minuto? Sì, ma ho il ciuccio... O magari proprio adesso, durante i minuti di recupero? Sì, ma c'è il ciuccio... O no? Ma certo!!! Certo!!!
Ed ecco il FISCHIO FINALE!!!
E i nostri eroi che si abbracciano.
E mia figlia che magicamente mi riappare accanto e guarda un po' stranita le mie lacrime di gioia.
Diciott'anni, tutti dimenticati in un secondo.




Saber perder es mucho más difícil que saber ganar. Por eso,
el triunfo de los que han perdido mucho es un tesoro más
dulce, más intenso, más heroico y duradero que cualquier otro.
La tenacidad, la lealtad, la perseverancia, la fortaleza
imprescindible para resistir la tentación de abandonar,
de desertar, de unirse a la corriente del favorito,
forja la voluntad, endurece la piel y acoraza el espíritu.
Enseña a apreciar la diferencia entre el verbo ser y el
verbo estar. Entre el verbo creer y el verbo comprar.
Entre la razón y los sentimientos. Entre la arrogancia y
el orgullo legítimo. Y, sobre todo, entre el valor y el precio.
Yo lo sé porque mi corazón, que es rojo, es también rojiblanco.


E ora, cosa resta? 
 
Gioia, gioia infinita.
Come saprete, non credevo in questo titolo, mi sembrava impossibile. E poi ne avevo già vissute tante, di delusioni, da non poterle neppure enumerare...
Però ora mi volto indietro e questo titolo mi pare il più bello, il più MIO. Se penso alle ultime tre Ligas vinte, mi sembra inevitabile: nel 1977 avevo un anno e neppure sapevo dell'esistenza dell'Atletico; nel 1996 internet era ancora in embrione e ricordo di aver visto una decina di partite al massimo su Koper-Capodistria (con l'Albacete c'ero, oh, se c'ero...). Ma qui, qui io ci sono stato: 56 partite su 61 non sono uno scherzo, no? E ben due dal vivo...
1996 – 2014: diciott'anni, tutti dimenticati in un secondo.


Leggo le parole di Almudena Grandes, tifosa biancorossa da sempre, e mi commuovo. E penso: questa volta c'ero veramente, non solo attraverso qualche partita alla TV e la spasmodica attesa dei risultati sul Guerin Sportivo.


Alzo lo sguardo sulle foto dei miei eroi dell'adolescenza appesi alla parete, Futre, Baltazar, Manolo, Schuster, Kiko, Caminero e tutti gli altri. E penso: ragazzi, scusate, ma questi qui vi hanno superato. Anche perchè io c'ero, e scusate se è poco.


Guardo le foto dei trionfi degli anni 50, 60 e 70 e mi accorgo che, di là, mia figlia canta da minuti e minuti “Diego Godin! Diego Godin! Diego Godin!” al modo del Frente Atletico. E penso: ragazzi, scusate, ma questa è storia vissuta, non letta sui libri.


E allora gioia, gioia infinita...


sabato 17 maggio 2014

domenica 11 maggio 2014

Atletico Madrid – Malaga 1-1: senza parole


Vi dico la verità, se la partita fosse finita con una sconfitta, come a un certo punto temevo, non avrei scritto nulla. Ovverosia, avrei mantenuto fede al titolo che trovate qui sopra, distrutto dall'estenuante piega che sembra aver preso il nostro finale di stagione.
Mancava così poco e quel poco non si è concretizzato. E ora si fa concreta la possibilità che un tale spreco di occasioni favorevoli possa essere punito sul filo di lana.
Ci sono molte cose che vorrei scrivere e al contempo nessuna, perchè la rabbia è tanta e mi viene la tentazione di lasciare perdere tutto, di nascondermi e fare ogni sforzo possibile pur di non sapere come andrà a finire.
Spero quindi vorrete perdonarmi se questa non sarà una cronaca, perchè non ne ho proprio voglia.


Continuo a pensare a quanto scrisse anni fa Nick Hornby in “Febbre a 90” a proposito del club che diviene un peso intollerabile, da cui vorresti liberarti ma di cui ti rendi conto di non poter più fare a meno. Sono diciotto anni che aspetto questo titolo e, francamente, non ne posso più: credo dunque di essere giustificato se ho un momento di sconforto.
La mia idea non cambia e il Barcellona sembra darmi ragione, però non posso fare a meno di considerare la possibilità che la partita del Camp Nou possa andare in maniera sfavorevole per noi: basterebbe un guizzo di Messi, un paio di parate di Pinto, una nostra traversa.
A questo punto, l'imponderabile potrebbe avere la meglio sul merito...

Cosa posso dire, dunque, che non sappiate già anche voi?
Che trovo intollerabile il modo in cui David Villa sbaglia gol già fatti? Se quello è il massimo a cui può arrivare, allora è un compito che potrei svolgere anch'io e a un decimo della cifra che riceve come stipendio.
Che non capisco come facciano i nostri avversari, pur difendendosi in undici, ad arrivare nella nostra area molto più velocemente e con più uomini di quanto riusciamo a fare noi?
Che non mi capacito di come sia possibile prendere gol così stupidi come quello di oggi?


So solo che ci tocca un'altra settimana di passione. E che l'unica cosa che possiamo fare è pensare che tutto questo sia solo un articolato disegno volto a farci apprezzare ancora di più il successo che verrà.


mercoledì 7 maggio 2014

Levante – Atletico Madrid 2-0: per noi il solito, grazie!

Se si esclude il campionato del Doblete e quello del 1977, non uno dei titoli nazionali vinti dall'Atletico è stato conquistato prima dell'ultima giornata. Tutti i campionati vinti tra il 1940 e il 1977 riportano vantaggi esigui, uno o due punti, sulle inseguitrici. Nessuno, tranne quello del 1996, è mai stato vinto al Calderon. Nessuno, senza sofferenze infinite fino all'ultimo.
Non sorprende affatto, quindi, che proprio nel momento in cui dovevano piazzare il penultimo colpo, i colchoneros siano caduti. E in un modo molto più netto di quanto forse non dica il risultato, anche se questa è una mia opinione che so poco condivisa su forum e giornali.

D'altra parte, che la partita contro un Levante ormai matematicamente salvo fosse una mera formalità lo credevano solo gli ingenui: tra le due squadre ci sono vecchie ruggini (leggetevi le cronache delle partite scorse), così come dissidi mai sopiti esistono tra l'allenatore dei rossoblù Caparros e la tifoseria dell'Atletico, a causa di frasi non carine pronunciate dal signore in questione quando allenava l'Athletic Bilbao.
Infatti la partita è stata dura, con il solito corollario di interventi da codice penale, promesse di regolamenti di conti, insulti, spintoni e chi più ne ha più ne metta.
Ho avuto l'impressione, tra l'altro, che i colchoneros si siano presentati non concentratissimi alla sfida, in parte perchè stanchi dopo Londra e in parte perchè ormai convinti che il più fosse fatto (atteggiamento in fin dei conti comprensibile anche in professionisti di questo livello). Impressione confermata  dalle curiose parole di Simeone a fine gara, quando l'argentino ha ricordato a tutti che certe sconfitte fanno bene.
Ora, ribadisco: la sconfitta è meritata. Certamente le due reti sono venute su autogol (causato da un Filipe Luis comunque clamorosamente fuori posto in occasione del calcio d'angolo e quindi, nei fatti, colpevole) e su un disastroso contropiede avvenuto nel momento in cui i colchoneros erano tutti protesi in avanti alla ricerca del pareggio che, col senno del poi, sarebbe stato benedetto. Certamente i colchoneros hanno creato occasioni da rete e hanno avuto la sventura di trovare sulla loro strada un signor portiere. Però per tutto il primo tempo non hanno fatto quasi nulla (un difetto che ormai segnaliamo da un po' e che, ripeto, non ci possiamo assolutamente permettere) e per buona parte del secondo si sono limitati a gettare in area inutili palloni dalla trequarti, arrivando raramente sul fondo e quasi mai creando azioni pulite e ben organizzate. Il Levante, con una disposizione accorta e una notevole efficacia nel pressing e nei raddoppi sul portatore di palla, ci ha dominato abbastanza agevolmente.
Inutile dire che, da settimane, il gioco si è fatto estemporaneo, quasi tutto  affidato alle sgroppate di Diego Costa, almeno negli incontri di medio lignaggio, con il brasiliano costretto a intercettare palloni volanti e a combattere in forte inferiorità numerica.

D'altra parte, cosa possiamo rimproverare a questi ragazzi? Alla fine saranno la squadra spagnola che avrà giocato più partite nella stagione, 61, affrontate con una rosa esigua, di fatto 13-14 elementi. Una squadra di buon livello ha tenuto testa e messo in fila, in Spagna e in Europa, avversari ben più potenti e tecnici.
Comunque vada, sarà stata una stagione di cui essere orgogliosi.
Quanto al fatto che possa anche diventare straordinaria, nulla è ancora perduto.

Vi mostro ora il tabellone delle possibilità nella Liga, pubblicato ieri da SkySports (con la partita di Valladolid ancora da giocare) quando mancano due giornate al termine:



Atletico Madrid 88, giocate 36
Barcellona 85, giocate 36
Real Madrid 83, giocate 35
nella Liga, a parità di punti, contano gli scontri diretti

Recupero (7 maggio):
Valladolid-Real Madrid

37ª giornata:
Atletico Madrid-Malaga
Celta Vigo-Real Madrid
Elche-Barcellona

38ª giornata:
Barcellona-Atletico Madrid
Real Madrid-Espanyol

L'Atletico Madrid è campione se:
- Nelle ultime due partite colleziona 4 punti. Se battesse il Malaga nel prossimo turno, Simeone si presenterebbe al Camp Nou con due risultati su tre a disposizione.
- Colleziona due punti nelle ultime due partite, il Barcellona non batte l'Elche e il Real Madrid fa 7 punti nelle tre partite che deve giocare: l'Atletico chiuderebbe a 90, a pari con il Real, vincendo la Liga per lo scontro diretto dell'andata.

Il Barcellona è campione se:
- Batte l'Elche e l'Atletico e il Real non vince una delle prossime tre partite. Collezionando 6 punti, il Barcellona arriverebbe a quota 91, a pari con l'Atletico (se la squadra di Simeone battesse il Malaga) e vincerebbe per scontri diretti (pareggio all'andata e vittoria al ritorno).

Il Real Madrid è campione se:
- Vince le prossime tre partite, arrivando a quota 92, e l'Atletico Madrid non fa più di tre punti nelle ultime due partite. Il Barcellona, battendo l'Atletico all'ultima di campionato, potrebbe, per ipotesi, consegnare il titolo ad Ancelotti.
- Colleziona sette punti nelle ultime tre partite, l'Atletico ne fa solo 1 e il Barcellona non batte l'Elche.


Ora, come vedete le possibilità e le combinazioni sono parecchie.

Tuttavia, c'è un filo rosso che le lega tutte: il Real vince solo se mantiene almeno un punto di vantaggio sul Barcellona, situazione che possiamo ipotizzare supponendo che batterà il Valladolid quasi sicuramente.
Aggiungo anzi che, proprio in considerazione di questo fatto, è stato un bene che non abbia perso col Valencia, perchè un arrivo a pari punti di tutte e tre le contendenti avrebbe dato il titolo ai blaugrana.
Così invece, col Real davanti al Barcellona, una vittoria degli uomini di Martino contro di noi consegnerebbe alla Casa Blanca la Liga.

Quindi il discorso è così strutturato, a parer mio: dobbiamo vincere col Malaga e sperare che il Real mantenga il punto di vantaggio sul Barça (l'ipotesi che le due possano perdere o pareggiare neanche la calcolo). In quel caso, davvero un Barcellona che battendoci potrebbe solo affiancarci ma darebbe la possibilità di un triplete storico a un Real vittorioso con l'Espanyol si dannerebbe l'anima per sconfiggerci? Ne dubito fortemente.
Sono sensazioni, badate bene, perchè può succedere di tutto: però mi pare proprio che sia l'ipotesi più probabile; magari non molto sportiva, ma certo quella che ha più possibilità di realizzarsi.

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giovedì 1 maggio 2014

Chelsea – Atletico Madrid 1-3: orgoglio e pregiudizio


Quarant'anni dopo, una nuova finale di Coppa dei Campioni. Dopo la partita d'andata, in molti davano per scontata la qualificazione del Chelsea, propalatori del pregiudizio secondo il quale l'Atletico, squadra notoriamente incapace di produrre bel gioco (o comunque d'attacco) e buona solo a correre, avrebbe ceduto di fronte alla superiore tecnica e abilità balistica dei londinesi.
L'analisi (??), già di per sé sciocca e superficiale, dimenticava un dettaglio assolutamente non trascurabile: l'orgoglio. I colchoneros non guardano in faccia a nessuno e non accettano di partire battuti. Mai e poi mai. Avevano dichiarato di credere nella vittoria e lo hanno dimostrato sul campo.
Solo ignoranti, superficiali e giornalisti italiani (realtà che spesso coincidono) potevano credere che le parole dei biancorossi fossero solo di circostanza. Chi segue veramente non dico le vicende dei colchoneros, ma anche solo quelle del calcio internazionale, sapeva che i giocatori dell'Atletico non scherzavano affatto.
I biancorossi hanno subito fatto capire che aria tirava a Stamford Bridge: senza forzare, si sono adattati senza problemi al ritmo (basso) imposto dal Chelsea, ma cercando di pungere quando potevano. Tempo quattro minuti e Koke timbrava la traversa, mettendo in apprensione i blues, che cercavano di fare gioco ma si scontravano, più che con l'ottima disposizione dell'Atletico, con la propria pochezza tattica e caratteriale. Hazard metteva più volte in difficoltà Juanfran, ma di fatto era l'unico a cercare di combinare qualcosa. Lento, impacciato, senza idee, il Chelsea traccheggiava e si affidava alle palle inattive.
Eppure erano gli inglesi a passare in vantaggio, con un tiro del grande ex, Fernando Torres, su cross di Azpilicueta. La deviazione di Mario Suarez era decisiva e Courtois si ritrovava spacciato e senza colpe.
A quel punto, molti erano convinti che per il Chelsea fosse fatta, ma, come abbiamo più volte scritto, l'Atletico di Simeone è inaffondabile: come se niente fosse, i colchoneros hanno rimesso palla al centro e si sono rimessi a giocare. Così, semplicemente. Solo con il baricentro leggermente più in avanti.
Pochi minuti e Tiago serviva Juanfran sull'estremo out destro, cross verso il palo opposto e tiro di controbalzo di Adrian, la mossa a sorpresa del Cholo, per il più facile dei pareggi.
Checchè ne dica Mourinho, la partita finiva allora, perchè nel secondo tempo era solo un monologo biancorosso, seppur inframmezzato da qualche sporadica occasione dei blues su calci piazzati. Eto'o stendeva Diego Costa per il più classico dei rigori, quello per intervento in ritardo. Il brasiliano segnava con grandissima freddezza, considerata la manfrina indegna per la condizione del terreno intorno al dischetto (l'ammonizione è una delle più stupide che siano mai state comminate a un calciatore: davvero Rizzoli non capisce l'importanza di un tiro dagli undici metri fuori casa?). Poco dopo, David Luiz colpiva il palo di Courtois, dimostrandosi l'unico veramente pericoloso nella squadra di Mourinho (già nel primo tempo aveva sfiorato un meraviglioso gol in rovesciata). Poi però, con un'azione fotocopia del primo gol, Tiago e Juanfran innescavano Arda Turan che prima colpiva la traversa di testa e poi segnava sul rimbalzo.
Il resto era solo passerella, mentre Stanford Bridge si tingeva di biancorosso. L'intera Europa aveva assistito alla prestazione impressionante dei colchoneros, abilissimi nel gestire la partita e nell'adattarsi ad ogni fase di questa, difendendosi (finalmente!!!) a partire dalla trequarti altrui con una profondità e un'abilità eccezionali, ma anche attaccando coralmente non appena ne aveva l'occasione.


Concludo con una confessione e una nota tra l'ironico e il desolato.
Prima, la confessione: un derby è la peggior finale possibile, lo dico chiaramente. In molti non vedono l'ora di godersi lo spettacolo, ma per me, già da oggi, è solo fonte di ansia e di paura (sì, paura). Se vinciamo, guadagnarci la prima Coppa dei Campioni togliendo la Decima alle merengues sarebbe un colpo eccezionale, da consegnare alla storia. Tuttavia perdere proprio contro il Real sarebbe, per gli stessi motivi, un dolore immenso. E sia chiara un'altra cosa: non partiamo con i favori del pronostico, anche se abbiamo le nostre buone possibilità.
Quanto all'osservazione ironica e amara insieme, non ho potuto fare a meno di sghignazzare di fronte all'osservazione fatta da Maurizio Pistocchi dopo la partita. Il nostro se n'è uscito con la seguente frase (più o meno, cito a memoria): “Nella vittoria di Simeone c'è molta Italia: non dimentichiamo che ha allenato un anno da noi”. Quindi, vediamo se ho capito bene: sebbene abbia vinto due titoli nazionali in Argentina e tre coppe in Spagna, l'esperienza di Simeone deriverebbe essenzialmente da una salvezza guadagnata a Catania? Davvero, non so se ridere o inorridire. Alla fine, in Italia vince sempre il provincialismo, lo stesso che spinge a credere che il Benfica sia una squadretta buona solo a contare col pallottoliere i gol che prenderà, così come era successo col Copenhagen, o il Galatasaray o lo stesso Atletico (do you remember Muntari?).


Note positive
Juanfran: messo alla corda da Hazard, riesce a prendergli le misure e per ben due volte approfitta di un errore del belga per centrare due cross favolosi.
Tiago: non è e non sarà mai un regista, ma le sue aperture e la sua lucidità nel leggere il gioco sono fuori dal comune. È in uno stato di forma eccezionale.


Note negative
Solidità difensiva: numerosi errori nel gioco aereo su palle inattive e nel contrasto sugli inserimenti centrali hanno costretto Courtois a interventi difficili. Se i secondi non sono affatto una novità, lo sono i primi e, considerata l'abilità dei giocatori del Real Madrid in entrambi i casi (come confermato nella partita di Monaco), bisogna assolutamente porvi rimedio.




Chelsea: Schwarzer; Ivanovic, Cahill, Terry, Cole (Eto’o, m. 53); Azpilicueta, Ramires, David Luiz, Hazard; Willian (Schürrle, m. 76) y Fernando Torres (Demba Ba, m. 66). No utilizados: Hilario; Kalas, Ginkel y Oscar.


Atlético: Courtois 8; Juanfran 7,5; Miranda 6,5, Godín 6,5, Filipe Luis 7; Arda Turan 7,5 (Cebolla Rodríguez, m. 81 sv), Mario Suárez 6,5, Tiago 8,5, Koke 7; Adrián 7 (Raúl García, m. 65 6,5) y Diego Costa 7 (Sosa, m. 76 sv).
No utilizados: Aranzubia; Alderweireld, Diego Ribas y Villa.



Goles: 1-0. M. 36. Fernando Torres. 1-1. M. 44. Adrián. 1-2. M. 60. Diego Costa, de penalti. 1-3. M. 72. Arda Turan.
Árbitro: Nicola Rizzoli (Italia). Amonestó a Cahill, Diego Costa y Adrián.
Unos 40.000 espectadores en Stamford Bridge.