sabato 31 gennaio 2015

Atletico Madrid – Barcellona 2-3: el mismo perro con dos collares


C’è un problema arbitrale, in Spagna? Sicuramente sì ed è sotto gli occhi di tutti. I favoritismi di cui godono Real e Barcellona sono sotto gli occhi di tutti, tranne che della stampa iberica, che anzi, col suo atteggiamento, fomenta e incoraggia l’andazzo, creando una situazione ai livelli del grottesco. Chi si lamenta di quanto accade in Italia non sa neppure cosa significhi “sudditanza psicologica”. Continuamente le due società su nominate ottengono favori arbitrali, sconti mascherati sulle squalifiche dei propri giocatori, orari facilitati e articoli su articoli tesi a influenzare chi non è connivente creando un clima di sospetto nei confronti degli avversari e di adorazione acritica verso i propri giocatori. Non importa quante differenze, di storia, di attitudine, di connivenza col potere, ci siano tra Barcellona e Real Madrid; alla fine, entrambe si comportano con l’arroganza di chi non è abituato a considerare non solo le ragioni, ma neppure l’esistenza degli altri, abituate come sono ad esaltare solo e comunque la propria storia, a magnificare solo e comunque le proprie vittorie e a considerare le (ahimè inevitabili, perché per fortuna il loro mondo ideale non esiste) sconfitte come complotti da smascherare a nove colonne su tutti i giornali amici. Le inchieste, dalle parti della Concha Espina e del Camp Nou, si limitano a tentare di dimostrare i supposti imbrogli e la supposta arroganza gli uni degli altri. Mai uno che si faccia un esame di coscienza, neppure di facciata.

Nel complesso, le partite di Coppa del Re e di Liga contro il Barcellona sono state inficiate da molti errori arbitrali, quasi tutti a favore dei blaugrana. E su questo, insomma, siamo d’accordo.

La domanda ancora più importante, però, è la seguente: c’è un problema di atteggiamento nell’Atletico Madrid? Siamo, cioè, una squadra violenta o comunque tesa all’aggressione ingiustificata? Mi duole dirlo, ma temo che ci sia una buona dose di verità in queste affermazioni. Sufficiente, in ogni caso, a rafforzare negli altri l’idea che il modo in cui ci dipingono corrisponda alla realtà e a far sì (e questo è l’aspetto peggiore, a mio giudizio) che si crei un pericoloso meccanismo di “profezia che si auto-avvera”.
Anche se forse appartengo ad una minoranza, continuo a provare un gran fastidio quando leggo commenti che invitano a spaccare le gambe a Tizio e a Caio, a farla pagare al Neymar di turno, ad osannare aggressioni nei confronti degli avversari, anche quando questi si comportano in modo disgustoso. Non nego che molte volte una parte di me si auguri che un male di qualche tipo colpisca avversari particolarmente antipatici o arroganti, né che talvolta vorrei proprio vederli vittime di un grave incidente di gioco. Ma da qui a scriverlo, o a dirlo in diretta, o a cercare di renderlo realtà sul campo credo che passi parecchio. Ovverosia un confine che non andrebbe mai oltrepassato.

Invece credo proprio che ultimamente i colchoneros lo abbiano varcato più volte; guarda caso, lo hanno fatto ogni volta che, per motivi prettamente sportivi e tecnico-tattici, si sono ritrovati in chiara difficoltà sul campo. Ovverosia, ogni volta che hanno dovuto fare i conti con la propria impotenza.

Certo, quasi tutti gli episodi della partita sono stati interpretati a favore del Barcellona, a cominciare dal fallo di mano non visto che ha dato inizio all'azione del 3-2 (come un altro fallo di mano, di Messi, non era stato colto dall'arbitro nella partita di Liga). Però vorrei ricordare a tutti che non è certo colpa dell'arbitro se l'Atletico, dopo aver praticamente pareggiato il computo complessivo dell'eliminatoria nei primi 30'', non è stato in grado di contenere in nessun modo il Barça e ha subito quasi immediatamente il pareggio. Dov'era, l'altra sera, la squadra equilibrata e decisa che l'anno scorso non si perse d'animo al Camp Nou e si portò a casa una Liga? Né certo è imputabile all'arbitro l'impossibilità di mantenere il nuovo vantaggio acquisito grazie al rigore di Raul Garcia. Rigore tra l'altro inesistente, senza ombra di dubbio.
Vogliamo dire che l'Atletico è fuori dalla Coppa del Re a causa di un terribile complotto arbitrale? Diciamolo, se fa piacere, ma non aspettiamoci che questo risolva i problemi tattici che continuano a presentarsi e che ci fanno incassare molti più gol dell'anno scorso. Né che questo metta fine alle enormi difficoltà che i nostri hanno nel contenere giocatori abilissimi a creare spazi là dove non ce ne sono. Se col Real Madrid “basta” saturare gli spazi per rendere difficile la manovra di gente che in quegli spazi ha bisogno di lanciarsi, col Barcellona questo non basta, perché molti di loro sono in grado di materializzare, letteralmente, gli spazi, grazie alla loro superiore tecnica nello stretto.

Perché abbiamo perso? Perché Gimenez non è Godin e non possiede lo scatto esplosivo sul breve del suo compatriota, per esempio. Perché Gabi non è neppure lontano parente del giocatore dell'anno scorso. Perché Mario Suarez, al solito, ha mostrato la sua abituale insipienza tattica e non era mai, in nessuna azione dei tre gol blaugrana, nel posto in cui avrebbe dovuto stare. Perché Siqueira come difensore è una sciagura, tanto per aggiungere un'altra osservazione, e Miranda pare avere l'autogol facile, quest'anno. E per molti altri motivi, alcuni che ho già detto e altri che potete capire da voi o che magari io per primo non ho colto.
A vedere bene, quelli con una difesa ai limiti dell'improponibile sarebbero i blaugrana, ma chi si è fatto impallinare in contropiede più di una volta siamo noi, che quest'anno incassiamo praticamente una rete a partita...

Si è perso e lo si è fatto con onore, punto. O meglio, lo si sarebbe fatto con onore se non si fosse dato uno spettacolo penoso: proteste, spintoni, minacce e, sopra tutto, la scena ignobile di Arda Turan che tira una scarpa chiaramente contro il guardalinee.
Non importa che il turco, come Fernando Torres, sia abitualmente una persona tranquilla. Molti usano questa osservazione per sostenere che il livello delle ingiustizie nei nostri confronti debba proprio per questo essere stato enorme, tale da far perdere la pazienza persino ad Arda e a Torres. Tuttavia questa tesi non ha davvero senso. In primo luogo, il turco non è affatto un giocatore tranquillo, anzi è continuamente impegnato a protestare con arbitri, guardalinee e, talvolta, avversari. Poi il danno di immagine per la società, che già non è stato piccolo (le immagini di lui che lancia la scarpa ci perseguiteranno per anni e, ogni volta, serviranno al commentatore in malafade di turno a sostenere la tesi che siamo un club violento), sarebbe stato enorme, se avesse colpito il guardalinee. Per non parlare di quello sportivo, vista la lunghezza siderale della eventuale squalifica.
Per non parlare di Gabi che, dopo aver preso l'ennesimo cartellino sul campo, ne prende un altro nel tunnel degli spogliatoi. Che l'arbitro abbia colto o meno il pretesto per metterci in difficoltà, un giocatore di esperienza come il capitano non può permettersi di offrire il destro per questo tipo di azioni. O per tacere di Mario Suarez, capace di farsi espellere in un secondo tempo nel quale, per decisione esplicita e diretta di Simeone, l'Atletico aveva rinunciato a giocare per vincere.

La verità, tutta la verità, è che queste cose non devono accadere. Ci muoviamo in un contesto pericoloso e Simeone, la società e i calciatori non possono non saperlo.
Da una parte, blancos e blaugrana impegnati a mungere più vantaggi possibili dal loro status e preoccupati per quanto riusciamo a fare, per la minaccia che riusciamo ad essere ai loro interessi e perché la nostra stessa esistenza smaschera chiaramente le falsità del loro sistema (si può vincere anche senza tiqui-taqua; si può farlo senza sperperare centinaia di milioni; l'invincibilità non esiste; soprattutto, a Lisbona è stato, come gli ultimi derby dimostrano, solo un colpo di fortuna a far pendere la bilancia verso la Decima e non verso la Primera...). Verità che non si possono dire, perché rompono l'alone magico che serve a vendere il prodotto Real o quello Barça, la medesima brodaglia glamour che però, anche grazie a noi, si mostra per quello che è: arroganza, presunzione e mancanza di sportività. El mismo perro con dos collares, per parafrasare un tipico detto spagnolo, è quello che sono queste due società: stesse modalità di azione, stessa mancanza di umiltà, stessa supponenza nel credersi il centro del mondo e nell'aspettarsi adorazione a prescindere e genuflessioni continue. Cambiano solo i colori e la filosofia in superficie.
Dall'altra è pur vero quello che dice Juanfran: c'è invidia, molta invidia, nei confronti dell'Atletico. Abbiamo vinto e dimostrato che la scusa dei pochi soldi non vale. Abbiamo scalato posizioni in Europa e guadagnato una fama che altre squadre che si credono migliori di noi si sognano. Vinciamo quasi sempre e comunque siamo sempre lì, a lottare, a differenza di tutti gli altri. Che scusa possono addurre un Valencia o un Siviglia? Ma chiaro, che se li sconfiggiamo è perché siamo violenti. Se riusciamo dove loro falliscono, ciò accade non per meriti nostri, ma perché abbiamo un pelo sullo stomaco tale da ottenere grazie ai falli e alle continue aggressioni ad arbitri ed avversari ciò che non saremmo in grado di avere grazie al Calcio.

E allora, proprio per questo, non possiamo permetterci di fare nulla che giustifichi le parole di chi ci giudica in malafede. Basta inutili proteste, basta lamentele, basta minacce e promesse di rese dei conti. Molti non vedono l'ora di poter sporcare il nostro scudo, di poter offuscare il nostro valore con le loro sozze parole, con le loro miserabili osservazioni servili.

Non dobbiamo permetterlo. Siamo l'Atletico Madrid. Abbiamo sudato ogni nostra conquista. Siamo stati derubati molte volte di vittorie meritate. Ci siamo fatti largo nel mondo grazie al nostro coraggio, alla nostra dedizione, al nostro senso del gruppo. Anni fa come oggi.
Ogni volta che varchiamo il confine tra gioco intenso e violenza, facciamo un favore ai nostri nemici. Ogni volta forniamo loro la scusa che cercavano per sminuire i nostri risultati, per perpetuare il loro sistema, per poterci accusare di essere, se non peggio di loro, almeno uguali a loro (mai sentito il refrain “Vi danno un rigore a partita?”). E permettiamo che tutti, avversari, arbitri e stampa, creino intorno a noi un alone in base al quale saremo giudicati e a causa del quale ciò che facciamo verrà usato per confermare il pregiudizio che noi stessi abbiamo contribuito a creare: quello di una squadra violenta, abile solo nel protestare, nell'ostacolare il gioco altrui e nell'intimidire arbitro e avversari. Vi stupisce che poi si finisca sempre per uscire dal campo oberati di cartellini? Che ogni minimo accenno di protesta oppure ogni fallo tattico procuri un'ammonizione? Che si continui a dire, se in una partita nessuno dei nostri è stato ammonito, che l'arbitro è stato troppo accondiscendente con noi, mentre se abbiamo ricevuto un diluvio di cartellini, che ne meritavamo molti di più? Che, sebbene non ci siano nelle nostre file un Pepe, un Sergio Ramos, uno Xabi Alonso, un Arbeloa o un cristiano ronaldo, quelli che fanno male agli avversari siamo noi?

Lo ripeto, per l'ennesima volta: siamo l'Atletico Madrid.
Siamo coraggio, costanza, aiuto reciproco, lavoro, impegno, dedizione. L'essenza stessa del Cholismo.
Non lasciamo che chi non è e non sarà mai alla nostra altezza abbia mille scuse per insozzare le nostre imprese col veleno della sua invidia.

domenica 25 gennaio 2015

Come in una bella favola (o forse no?)


Ne sono successe di cose, negli ultimi giorni, dalle parti del Calderon: il passaggio del turno di Coppa del Re contro l’Eterno Rival, la vittoria sofferta contro il Granada e quella decisamente più facile (ma non troppo) contro il Rayo, le due meritate sconfitte contro il Barcellona e, last but not least, l’ingresso nel club dell’ennesimo multi-miliardario cinese in cerca di visibilità in Europa.

Se fossimo in una favola, saremmo in una bella favola, tutto sommato: l’eroe “bello di fama e di sventura”, tornato a casa, ci trascina alla conquista di Madrid frantumando una serie incredibile di record personali e non (non si vincevano tre derby di fila dagli anni Cinquanta, mai il Real aveva incassato due reti all’inizio dei due tempi, mai si era vista una tale superiorità biancorossa in termini di risultati nella capitale, mai Fernando Torres aveva segnato al Bernabeu). Intorno a lui, la squadra lotta, combatte, non si dà per vinta ma anzi si considera vincente e dimostra ormai che, per i colchoneros, andare al Bernabeu è come farsi un panino sotto casa: placido, tranquillo, sereno (almeno sul piano mentale, perché è chiaro che sulla bilancia la tecnica pesa ancora tutta per i blancos). Simeone le azzecca tutte, Mario Suarez sembra un giocatore vero e Siqueira un difensore affidabile, Oblak finalmente svela perché è stato pagato una vagonata di soldi e la stampa..beh… è costretta ad ingoiare le sviolinate alla remontada che mai sarà. Come ha detto giustamente il Cholo, spettatori e stampa non scendono in campo, nonostante la vergognosa grancassa mediatica messa in atto per salvare il Calcio dalla calata dei Vandali, cose che non si vedevano dai tempi in cui era in gioco l’onore della Spagna contro i club stranieri, magari appartenenti ai pericolosi stati socialisti dell’Est Europa.
Il lieto fine sarebbe bell’e pronto: colpito da una siffatta dimostrazione di potenza e forza mentale, un altro eroe, non giovane, non bello, ma ricco e potente, arriva fin dalla lontana Cina per sposare la bella principessa e rendere il regno ancora più forte e vincente.

Una bella favola, davvero. Sarebbe molto bello crederci e, in generale, sono piuttosto propenso a farlo.
In fondo, concluso il girone d’andata e appena iniziato quello di ritorno, l’Atletico sembra in ascesa, contrariamente agli anni scorsi, quando gennaio e febbraio coincidevano con un pericoloso calo fisico. Quest’anno Simeone ha ruotato maggiormente gli uomini, anche perché, non avendo una formazione e un modulo definiti e funzionanti in mente, ha dovuto maggiormente sperimentare rispetto al passato. In più, considerate le difficoltà nel gioco, i vari cambi hanno pesato sicuramente meno, non andando a inceppare un meccanismo che già di per sé era tutto meno che perfetto.
Ora invece i colchoneros sembrano aver trovato un’idea stabile di gioco, anche se permangono confusioni tecniche e tattiche, principalmente legate alla difficoltà a trovare spazio ad alcuni acquisti estivi e all’evidente abiura di una buona parte del progetto elaborato in estate, e difficoltà in alcuni ruoli (terzino sinistro su tutti).
Addirittura, non si sa se spronato dalle richieste di cessione o meno, Simeone ha rispolverato Mario Suarez, il quale ha regalato alcune buone prestazioni. Anche qui, non è chiaro se il nostro non più giovanissimo canterano sia sembrato un giocatore vero perché è in particolare forma (e allora complimenti al Cholo e al suo occhio lungo), o perché vuol mettersi in mostra per una futura cessione. Ha giganteggiato al Bernabeu e se l’è cavata altrove, in verità, ma può bastare. D’altra parte, il giocatore è noto, così come la sua innata capacità di mostrarsi calciatore vero in favore di telecamera (ricordate la Supercoppa col Chelsea?) e dormire le restanti trenta gare: il che mi fa supporre che non andrà mai più in là di così, nonostante stia per entrare, almeno anagraficamente, nel culmine della carriera.
E dove non arriva il prode Fernando ci pensano Griezmann, ormai completamente integrato nel meccanismo della squadra, tremendo e letale contropiedista, o il prode Godin, regolare e preciso come mai nella sua carriera, anno scorso a parte. Per non parlare di un Gimenez che non fa rimpiangere Miranda, al punto che molti tifosi si spingono a parlare, neanche troppo sottovoce, di una cessione del brasiliano come di una occasione da non perdere.
In più, è arrivato, del tutto a sorpresa, Cani, in prestito dal Villareal, al posto del Cebolla Rodriguez. Professionista esemplare, quest'ultimo, ma anche giocatore poco sagace dal punto di vista tattico e piuttosto limitato da quello tattico, capace solo di correre coi paraocchi lungo la fascia. Lo spagnolo invece, abile tecnicamente, di professione trequartista ma non solo, pare un ottimo sostituto di Arda Turan. E se la forzata inattività al Villareal ci consegna un giocatore piuttosto arrugginito, è vero anche che è un'altra pedina fresca per il Cholo.


Tuttavia, c'è di che stare attenti.
In primo luogo, serpeggia un certo malumore, nelle file biancorosse. Sotterraneo, ma c'è. Non si spiegherebbero altrimenti le richieste di cessione da parte di Mario e, soprattutto, di Saúl. Entrambi sono rimasti “fregati” dal ritorno improvviso, quest'estate, di Tiago, che ha tolto loro spazio e prospettive. Se però del primo si potrebbe tranquillamente fare a meno, visto che, a parte provenire dalla cantera, non ha nessuna qualità imprescindibile ed è, di fatto, un giocatore come mille altri, il secondo è destinato ad una luminosa carriera ed è comprensibile che, dopo l'ottima stagione al Rayo, si aspettasse molto di più. Dal momento che il portoghese non è eterno, deve solo avere pazienza, in teoria. Ma “pazienza” è una parola che mal si sposa con Jorge Mendes, un vero e proprio cancro del calcio e dell'Atletico, che spinge perché il ragazzo giochi altrove, non è chiaro se in prestito o in via definitiva. E non illudetevi: se per il momento la cosa è stata stoppata, il “re dei procuratori” tornerà alla carica ben presto, per una soluzione o per l'altra. D'altra parte, uno così guadagna in commissioni sui trasferimenti.
E allora, ecco il punto. Perché un mega-miliardario cinese dovrebbe investire in una società sempre sul filo del rasoio finanziario, guidata in malo modo da gente che si mette nelle mani di tipacci come il portoghese di cui sopra? Una società pesantemente indebitata col Fisco e dai conti opachi e impossibili da decifrare? Un club i cui vertici sono stati più volte condannati per vari reati fiscali tra cui frode ai danni della stessa società e falsa emissione di azioni?

È circolata la voce che questo sia solo il primo passo e che il gruppo Wanda voglia rilevare, nel giro di pochi anni, diciamo dopo il passaggio alla Peineta, l'intera società.
Permettetemi di dubitare. Non tanto che la voce, smentita da Cerezo (…), sia vera: questo è abbastanza verosimile, visto che nessuno butta 45 milioni di euro nel capitale sociale di una società che non produce utili così, solo per amore verso lo sport e i nostri colori in particolare. Dubito che la cosa si concretizzi. La premiata ditta Gil-Cerezo, così abile nel falsificare bilanci e aumenti di capitale, sicuramente avrà in mente qualche piano diabolico per tenersi i soldi e sganciarsi da siffatti, scomodi, soci. I quali certo hanno piani decisamente più importanti che rafforzare il club: lottizzazioni edilizie, compravendite immobiliari, investimenti nel turismo d'élite e chi più ne pensa più ci azzecca. Chissà perché, la mente corre subito al Malaga, sedotto ed abbandonato da uno Sceicco che i soldi li aveva eccome, anche se la stampa nostrana l'ha preso in giro come un poveraccio, ma che ha improvvisamente deciso di non elargirli più quando il suo piano di cementificazione dell'intera Costa del Sol è stato bloccato dal governo locale. C'è da guadagnare con lo stadio, la nuova Ciudad Deportiva e chissà cos'altro. Oltre al fatto che la faccenda pone tutta una serie di interrogativi e di problemi: possono proprietari di un club che sarebbero stati condannati a rifondere alla loro stessa società i danni da loro stessi causati disporre un aumento di capitale? A cosa, se non a un capitale inesistente, perché fasullo, si vanno a sommare i 45 milioni detti sopra? Come si fa a stabilire le nuove quote della società, considerato che le vecchie si basavano su carte false? E via così...

Da ultimo, l'aspetto sportivo vero e proprio. Dopo aver esorcizzato un demone, ne compare un altro: se c'è una cosa che il doppio confronto del Camp Nou ha evidenziato, è, per l'ennesima volta, che la coperta è troppo corta. O tentare di attaccare e perdere o chiudersi a riccio, rinunciando a uscire dagli ultimi 25 metri e perdere; questo, in estrema sintesi il dilemma. Ci sarà occasione di analizzare tatticamente le partite col Barcellona, ma è chiaro che i rapporti di forza, rispetto all'anno scorso, quando li imbrigliammo per ben 6 volte, sono cambiati. Pertanto, non sono per niente fiducioso per il ritorno di Coppa e non lo sarei stato neppure se l'andata fosse finita 0-0. È chiaro a tutti, io credo, che il Barça non è il Real: il tasso tecnico è superiore e questo ci mette in difficoltà, mentre contro i blancos, più fisici, ci troviamo proprio per questo maggiormente a nostro agio (anche se soffriamo parecchio anche lì; d'altra parte il divario è quello).
Anche in Liga, non è possibile distrarsi un secondo, perchè Valencia e Siviglia sono lì e non si schiodano dalle nostre calcagna, complici alcuni risultati deficitari nostri nei primi tre mesi di campionato e il generale declino di buona parte delle squadre spagnole.

Perciò, sogniamo, se volete. Ma non scordiamoci mai che è ancora quasi tutto da costruire e che, soprattutto, un bel paracadute è proprio quello che ci servirebbe in caso di bruschi risvegli.

mercoledì 14 gennaio 2015

Barcellona – Atletico Madrid 3-1: non pervenuti


Di fronte a una partita come quella del Camp Nou, non c'è molto da scrivere: l'Atletico ha sbagliato formazione, tattica e, soprattutto, atteggiamento. Niente di più e niente di meno.
Non ha importanza che giornali e internet, subito dopo la partita, abbiano detto che l'Atletico se l'è giocata quasi alla pari e ha dimostrato di essere allo stesso livello del Barça. Sì, certo, qualche sbavatura (???) nel primo tempo, poi l'arbitro, poi Messi che fa il fenomeno, però, dai, c'è da essere soddisfatti, nel secondo tempo c'è mancato poco che si arrivasse al pareggio. Persino Simeone, in conferenza-stampa, ha filosofeggiato serafico.
Per fortuna, col passare delle ore l'atteggiamento è mutato. Dagli spogliatoi è filtrata l'ammissione di una partita affrontata con una certa rilassatezza, anche se la fonte è rimasta anonima.
Parliamoci chiaro, perdere al Camp Nou non è certo un dramma. Semmai, sono da accogliere con soddisfazione l'impegno e l'entusiasmo del Barça nel cercare la vittoria e nel festeggiarla, perchè dimostrano che ormai siamo percepiti come un avversario alla pari, un vero e proprio pericolo. Lo stesso va detto per il miserabile tifo pro-blaugrana che, su internet, si sprecava da parte dei tifosi del Real. Evidentemente, ci temono e siamo un osso duro; i tempi, insomma, paiono essere cambiati per sempre.


Quello che non va bene non è neppure la formazione iniziale, con quel Gamez schierato a sinistra che parla chiaramente di scelte di mercato non proprio azzeccate. Letto della decisione del Cholo, avevo storto il naso, e parecchio, ma, diciamola tutta, la stessa cosa era accaduta prima del derby di Coppa con la scelta di Lucas. In verità, il piano tattico di Simeone era abbastanza chiaro e riguardava la possibilità di creare un imbuto nella zona centrale del campo, puntando a ribaltare l'azione col solo Juanfran. Peccato che Luis Enrique abbia scompaginato il piano spostando Messi a destra e costringendo l'Atletico ad allargare il campo. C'è stata, da parte del Cholo, una certa ingenuità e un certo torpore nel far fronte alle mosse dei blaugrana, un aspetto che talvolta si nota nel tecnico argentino. Insomma, non è stata la serata migliore del Cholo, ma può capitare. Magari sarebbe bastato schierare Gamez a destra e Juanfran a sinistra, chissà.


Non sapremo mai se la pessima impressione data dall'Atletico nel primo tempo, con giocatori lenti e continuamente fuori posto, incapaci di far salire il pallone e costantemente anticipati dai blaugrana, sia frutto del gioco espresso dal Barcellona (di gran lunga il più convincente della stagione, nonché il più guardioliano da molto tempo a questa parte), o se sia stato causato dalla disposizione in campo dei colchoneros. Neppure ci interessa, in fondo.


Ciò che non va assolutamente bene è l'atteggiamento tattico.
Se decidi di difendere troppo basso, come spesso succede, non ti puoi stupire se non riesci ad uscire dalla tua area. Siccome i tuoi mediani sono scarsi tecnicamente e la poca fantasia che possiedi l'hai spostata all'ala, risulta facile, per chi ha ritmo e buona tecnica, impedire che il pallone vada oltre la linea del doble-pivote. L'anno scorso era un rischio che i colchoneros potevano correre, vista la presenza di Diego Costa (e di Courtois), ma quest'anno non si capisce bene quale sia il piano A, e neppure se ci sia un piano B, in verità. Se hai un giocatore come Mandzukic la partita la devi impostare diversamente, perchè non è lui che può far salire la squadra, né lo può fare Griezmann, che non ha la prestanza fisica di Costa. Nessuno mi toglie dalla testa che l'arrivo di Fernando Torres sia una sconfessione bella e buona del progetto sviluppato in estate, anche se ben mascherata da aspetti sentimentali.
Ma passi, anche perchè vale il discorso fatto prima: non sapremo mai se la pessima figura fatta dall'Atletico sia dovuta al gioco del Barça o a quello dei colchoneros. Così come non sapremo mai se, nel secondo tempo, è stato il gioco maggiormente propositivo (ma sterile) dei biancorossi o il calo dei blaugrana a livellare il match.


Ciò che però va assolutamente, radicalmente e definitivamente modificato è l'atteggiamento mentale. È qui che l'Atletico non sembra neppure lontano parente di quello dell'anno scorso.
Quest'anno le sconfitte in Liga sono già quattro, quanto tutte quelle dell'anno scorso. Gran parte delle sconfitte (e anche qualche pareggio) della stagione sono venute al termine di partite in cui si è avuta l'impressione netta che, con maggiore impegno e concentrazione, i colchoneros avrebbero ottenuto risultati positivi.
In generale, ho avuto la netta impressione che, vuoi per il derby appena vinto, vuoi per la supposta crisi del Barcellona, vuoi perchè concentrati sulla partita di giovedì, i biancorossi abbiano fortemente sottovalutato la partita. Andare al Camp Nou, però, non è mai un pic-nic.
Però, se non si recupera lo spirito del partido a partido, slogan che quest'anno sembra spesso limitato alle sole parole, si rischia di perdere quanto di buono è stato fatto. Non è possibile che il Siviglia, squadra che abbiamo demolito un paio di mesi fa, ci stia a due punti e possa, vincendo col Real, superarci (ipotesi improbabile ma non impossibile: avete notato che i cuginastri, ogni volta che affrontano una squadra vera, perdono? Il Barcellona stonato del Bernabeu non conta). O che il Valencia ci talloni da vicino. Per quanto io non creda a quanto viene ripetuto da più parti da mesi, ovverosia che il mercato estivo abbia portato a un miglioramento complessivo della nostra rosa, unito però a un peggioramento della nostra formazione-tipo (secondo me sono peggiorati entrambi), si tratta di squadre che non ci superano per qualità della rosa e che certo non possono starci alla pari per forza mentale. Vederle appena dietro di noi mi irrita fortemente e mi risulta quasi innaturale. La Liga è andata, ormai, ma un terzo posto (o magari un secondo, perchè il Barça secondo me vivrà ancora parecchi momenti di altalena) non deve neppure essere messo in discussione.


Infine, non posso che stigmatizzare fortemente il comportamento tenuto in campo dai nostri. Che ogni partita nella quale troviamo difficoltà si trasformi in uno show da guappi in cui, con facce truci, Godin e (soprattutto) Raul Garcia, ma anche altri, minacciano gli avversari, si lamentano platealmente di tutto e disturbano continuamente l'arbitro è ributtante. Anche se non siamo peggiori di altri (in questo senso le lamentele del Real, dall'alto dei colpi e degli atteggiamenti di molti calciatori blancos, sono patetiche), è evidente che non siamo bravi a far passare inosservate le nostre mancanze. Ci vuole poco, così, a finire nel mirino di arbitri e avversari, a cui non pare vero di poter invocare la tutela delle giacchette nere contro i “nuovi Vandali”. Magari, se tenessimo di più i nervi a posto e non sembrassimo un branco di bulli di periferia in cerca di guai, buona parte dei cartellini gratuiti che prendiamo non ci sarebbero comminati. Che poi tanto gratuiti non sono, perchè tra falli totalmente inopportuni, interventi scomposti, reazioni esagerate e proteste gratuite c'è solo l'imbarazzo della scelta. Con un po' più di accortezza, non ci troveremmo sempre con una marea di diffidati. Soprattutto, trovo particolarmente stupido darsi da fare per perdere tempo e provocare gli avversari quando si deve recuperare la partita, come fa regolarmente Raul Garcia, che al al Camp Nou ci avrà fatto perdere almeno dieci minuti con le sue scenate.


Quindi c'è un complotto arbitrale contro di noi? No, non credo, ma aspetto il ritorno al Bernabeu per chiarirmi le idee. Ricordo a tutti non solo che, come dice la saggezza popolare, “chi è causa del suo mal pianga se stesso” (e il Cholo lo sa benissimo, infatti ha tenuto bassi, bassissimi i toni nel dopo-partita), ma anche che le due super-potenze sono sempre protette eppure, quando abbiamo giocato come sappiamo, di arbitraggi sfavorevoli non se ne sono visti o non hanno inciso per nulla. Comunque, se proprio volete vedere cosa voleva dire avere gli arbitri contro, fatevi un giretto qui: quelle di ore sono quisquilie.


Per tutta una serie di motivi abbastanza semplici da intuire, non pubblicherò le pagelle della partita: in fondo, i colchoneros non si sono neppure presentati...


martedì 6 gennaio 2015

Il Niño prodigo e i Provinciali (e qualche parolina sul Levante)


Il Niño, al secolo Fernando Torres Sanz, torna a casa.
La notizia è ormai nota persino a chi non si interessa affatto di calcio: non sarà certo questo post ad informare alcuno, lo so bene. Pure, a scrivere prima non ce l'ho proprio fatta. Troppa emozione, troppo desiderio cullato negli anni e mescolatosi, col passare del tempo, al timore e alla rabbia dell'amante tradito.
Il Niño torna a casa e ogni suo respiro fa notizia, titoli sui giornali, sospiri nei cuori di tutti. Per la sua presentazione al Calderon si sono presentati in quarantamila, giusto un filo meno di quanti hanno riempito lo stadio per la partita col Levante. Una partita che era quasi un accessorio, un riempitivo inevitabile tra il Botto (l'annuncio dell'affare, proprio alla Vigilia) e l'Evento, la presentazione in grande stile del 4 gennaio. Quindi, tanto per dire, il mio post rischia di essere un evergreen ed è indifferente quando l'abbia scritto.
La domanda che si fanno tutti è sempre la stessa, pur nelle sue infinite variazioni: Fernando Torres tornerà lui? Ovvero, Simeone ha fatto bene a rischiare la sua scommessa più grande o avevano ragione al Milan? O, per dirla in altro modo ancora, il Niño è ancora un grande giocatore (e lo è mai stato, aggiungo io)?
Per rispondere a questa e ad altre domande credo di doverla prendere un po' alla lontana.


Cominciamo dalla partita contro il Levante. Cosa ci dice un match tutto sommato giocato bene contro un avversario molto misero, almeno sul piano della volontà di giocarsela? Un paio di cose generali, tanto per cominciare: se non incontra grossa opposizione, l'Atletico è in grado di giocare un'intera partita puntando solo ed esclusivamente su un calcio manovrato e di buona caratura estetica. Appena l'avversario alza i ritmi e il baricentro, i colchoneros fanno fatica e sbandano, perchè, diversamente dall'anno scorso non hanno frecce al loro arco, vale a dire attaccanti veloci che ribaltino il fronte. E Griezmann, mi direte? Il francese ha appena iniziato a fare la differenza e deve ancora dimostrare qualcosina, almeno dal mio punto di vista; soprattutto, con un bisonte come Mandzukic accanto, rischia di ritrovarsi tutto solo in avanti, una situazione da perfetto contropiedista che però spesso sfocia nel nulla, soprattutto se chi porta la palla è partito da troppo indietro e/o si trova davanti più avversari. Chi può supportare il francese? Koke e Arda sono fenomenali nel mettere il pallone fra le linee, ma non sono certo veloci. Juanfran e Siqueira lo sono, ma soffrono di qualche lacuna sul piano difensivo (soprattutto il brasiliano, un vero colabrodo), per cui, quando gli avversari alzano il baricentro, devono inevitabilmente arretrare il proprio raggio d'azione, per non farsi aggirare. Simeone ne è ben consapevole, altrimenti non si spiegherebbe il fatto che più della metà delle reti della squadra vengano segnate di testa, spesso su calcio da fermo.
Sabato, sul 2-0, la squadra si è rilassata troppo e ha rischiato di farsi riprendere. Cose che possono capitare, se alle viste c'è un periodo di scontri contro Real Madrid e Barcellona, ma anche questo è un difetto storico dei colchoneros, quest'anno acuito dalla mancanza di giocatori capaci di ferire a morte gli avversari sbilanciati. Aggiungiamoci che si è avuta, netta, l'impressione che anche il Cholo considerasse la partita chiusa e si sia fatto cogliere alla sprovvista dagli avversari. Già non brilla per velocità nel reagire alle mosse avversarie, se poi si rilassa... È anche vero che, a guardare la panchina, non si saprebbe proprio chi inserire per dare velocità: Raul Garcia? Jimenez? Giusto Saul, che attaccante non è.


Ci sarebbe stato un tale Alessio Cerci, ma è ormai chiaro che in questo Atletico non avrebbe mai trovato spazio. Non lasciatevi ingannare dalla parola “prestito”, l'attaccante romano non lo vedremo più in maglia biancorossa. Degno coronamento di una esperienza ai limiti della farsa: l'arrivo all'ultimo giorno del mercato, in sovrappeso e con la presunzione di non avere nulla da dimostrare e da imparare, il tentativo di forzare la mano all'allenatore sparlando a ruota libera dal ritiro della nazionale, le prestazioni assolutamente impalpabili di uno che vuol fare tutto da sé e magari si porta via anche il pallone, se gli altri protestano. Una parabola del tutto diversa da quella di Griezmann, che ha lavorato molto e in silenzio, e invece molto, ma molto simile a quella di un altro "genio" del nostro calcio, Antonio Cassano. La cui esperienza al Real Madrid fu ancora più penosa. Per lo meno, il buon Antonio ci risparmiò i tweet lamentosi della fidanzata a proposito del “merito ignorato in Italia”.
Cerci se ne va sentendosi incompreso. Un altro giovanotto di belle speranze, tale Simone Scuffet, quest'estate ha rinunciato a un contratto pluriennale e a 900.000 euro l'anno perchè doveva, parole della mamma, “finire la scuola”. Come è noto, Madrid è priva di istituti scolastici. Come è altrettanto noto, Scuffet è titolare in uno squadrone.
Certe cose mi ricordano tanto le vacanze-studio che facevo in Inghilterra da ragazzo: c'era gente che partiva con spaghetti e sugo di pomodoro nella valigia per mostrare ai perfidi albionici come si mangia veramente, mentre altri si lamentavano continuamente del terribile cibo. D'altra parte, una valanga di colleghi di altre regioni non fa altro che lamentarsi della nebbia e del cibo e del freddo e della pioggia e del sole “che non è come a casa” che trovano nella città dove lavorano. E stiamo parlando di vivere solo in una diversa regione dello stesso paese, parlando la stessa lingua.
Alla fine, voglio dire, si allontanano dall'Atletico due provinciali, tipici esponenti di un paese dove la tendenza al piagnisteo è così forte che neppure ci si rende conto di quanto gli altri sono andati avanti, dove si preferisce essere stellina in un Milan inguardabile piuttosto che lottare per un posto tra i campioni di Spagna o scaldare una panchina a Udine piuttosto che tentare la sorte a Madrid. Madrid, dico, ma potrei anche parlare della Spagna tutta: ma quanto potrà essere difficile adattarsi a vivere in una città e in un paese così?


E arriva, sette anni dopo, il Figliol Prodigo, carico di gloria e col blasone assai appannato. Favorevole o contrario? Lo dico subito: favorevole ma con molti distinguo.
Il Niño potrebbe apportare quella velocità che Simeone desiderava dai tempi della partenza di Diego Costa. Per di più, Fernando Torres può giocare sia da punta centrale che da secondo attaccante.
Sicuramente arriva avvolto da molti dubbi, anche se l'entusiasmo sollevato nell'ambiente tende a farli dimenticare: è ancora un killer? È ancora integro fisicamente? Può reggere i novanta minuti?
Le uniche cose certe sono che Simeone lo voleva ardentemente, per la sua velocità e la sua duttilità, e che, se non a Madrid, davvero non si sa dove il Niño potrebbe ritrovarsi.


Però qui cominciano le dolenti note.
Innanzitutto, l'affare è proprio uno strano affare, sia nei modi che nei tempi, che negli aspetti tecnici. Anche le voci su un Cerci costretto ad accettare lo scambio e ad andare al Milan anziché all'Inter non mi sono piaciute granchè: se fossero vere, getterebbero un'ombra sulla società (anche se non sono uno sprovveduto e so bene che non sarebbe la prima situazione di questo tipo, nel mondo del calcio: ai tempi di Gil padre, per dire, era la norma).
Poi il fatto che Simeone lo abbia inseguito per mesi e sia convinto di poterlo recuperare non mi fa stare tranquillo per niente. Ho ormai compreso che il Cholo soffre di una certa miopia nei confronti dei calciatori: mentre è perfettamente in grado di valutare un giocatore che ha ai suoi ordini, cogliendone pregi e difetti, soprattutto se nascosti e fino ad allora ignoti, e riusciendo magicamente a intervenire là dove serve, non mi pare in grado di valutarli a distanza, vale a dire in sede di mercato. Se è vero che Cerci è stata una sua precisa richiesta, il romano si aggiunge a tutta una serie di calciatori, da Insua a Sosa, dal Cebolla al secondo Diego, dal Cata Diaz a Raul Jimenez, su cui è meglio stendere un velo pietoso.
C'è poi l'aspetto ambientale: Fernando Torres arriva come uno màs, non come stella assoluta della squadra, e non potrebbe essere altrimenti visto il rendimento degli ultimi anni (anche se la media gol al Chelsea non è poi così male, più da seconda punta in realtà). Dovrà sudarsi il suo posto come tutti gli altri, ha detto Simeone con chiarezza. Ma la gente saprà capirlo? I quarantamila che hanno affollato il Calderon avranno pazienza? Sapranno rispettare il Cholo, il Niño stesso che sicuramente avrà bisogno di tempo, molto tempo, i compagni che gli faranno inevitabilmente ombra?
Ecco, i compagni. A parte il fatto che il suo acquisto mi pare una sconfessione bella e buona del mercato estivo, ma di questo avrò modo di parlare (neanche il tempo di finire il mio terzo post di tattica, capire dove si sta andando, e Simeone mi fa questo scherzo, che mi costringerà ad allungare ancora di più i tempi di pubblicazione. Scusate tutti), chi farà spazio a Fernando Torres?
L'indiziato numero uno è Raul Garcia, che sarà ancora di più eterno numero dodici (Raul Jimenez non lo calcolo neanche). Però la situazione non volge al bello neppure per Mandzukic e per Griezmann, perchè il Niño toglierà inevitabilmente spazio a uno dei due. Non è chiaro a chi. Le indiscrezioni che parlano di un Simeone voglioso di riproporre il gioco dell'anno scorso puntano inevitabilmente contro il croato. Però io ricordo un'intervista estiva in cui il Cholo parlava di una coppia Mandzukic – Fernando Torres come di un'arma letale destinata a spaventare tutti in Europa. Griezmann e Cerci arrivarono dopo e nessuno mi toglie dalla testa, a questo punto, che entrambi fossero niente più che un surrogato, anche se di alta qualità, almeno per quanto riguarda il francese.
Comunque la si metta, il Niño rischia di passare per quello passato davanti a chi ha tirato la carretta finora, un po' come Diego l'anno scorso. Si sa come finì e il rischio non è poi così peregrino, a meno che il Cholo non abbia in mente per lui un ruolo “alla Altafini”.
Anche perchè, ne sono convinto, sotto l'affetto smisurato del popolo colchonero cova il rancore. Lo so perchè lo provo anch'io. Non posso dimenticare quella conferenza-stampa del 2007 quando Fernando Torres annunciò la sua partenza tra le lacrime. Piangeva, il Niño, e piangevamo tutti. Lo faceva perchè era “la cosa migliore per tutti”, diceva. Beh, io non gliel'ho mai perdonata. Migliore per lui, certamente. Migliore per la Mafia che governa il club, di sicuro. Abbiamo vinto senza di lui, ci siamo rifatti una vita. Siamo al nostro zenit, mentre lui ha imboccato da parecchio il viale del tramonto. E ora si ripresenta alla nostra porta, quasi sperando di poter godere della nostra luce riflessa, di toccare ancora la gloria grazie a noi. Ora che è vecchio, gli andiamo bene anche noi. Dai, lo pensiamo tutti, chi più chi meno, in fondo al cuore.
A me la storia del figliol prodigo ha sempre fatto girare le balle. E gente meno dotata del Niño ci è stata molto più fedele, ha lottato con noi, è cresciuta con noi, ha vinto con noi quando sembrava impossibile.
E, sì, sono favorevole ma forse non più di tanto. Però, Fernando, ben tornato a Casa, questo sì. Di tutto cuore.