Quando
si parla di Simeone, di solito le opinioni sono due: molti lo
dipingono come un allenatore molto scolastico; qualcun altro,
magnanimamente, sottolinea che, in fondo, è un gran motivatore.
Insomma,
comunque la si voglia vedere, è un allenatore che non propone
novità, opinione peraltro condivisa dalle massime autorità del
calcio europeo e mondiale (con poche lodevolissime eccezioni).
In
fondo, pensano e scrivono in molti, il gioco dell’Atletico Madrid è
solo una versione leggermente modernizzata dell’intramontabile
contropiede, secondo l’ormai imperante assioma per il quale o si
gioca il tiqui-taca o si è dinosauri ancorati al peggior gioco
all’italiana. Chi meglio del Cholo, già sospetto per aver giocato
molti anni nel Bel Paese e per aver dichiarato che per il
possesso-palla non ha alcun interesse, può essere il perfetto
bersaglio di una critica snob e saccente, incapace di vedere che il
gioco del Barcellona non è già (né può essere) lo stesso?
Pazienza se il calcio è un gioco che si evolve, se il gioco di
Guardiola e quello di Tito erano già notevolmente differenti tra
loro, se in Europa in molti hanno vinto e vinceranno anche in altri
modi: tiqui-taca deve essere e tiqui-taca sia. Oppure il nulla. E se
questo atteggiamento ha come unica conseguenza l'offesa pubblica e
reiterata di chi non si adegua, in primis il Tata Martino
nella liga appena conclusa, pazienza.
Come
se, tra l’altro, risultare uno straordinario motivatore fosse una
caratteristica ordinaria, alla portata di tutti. Come se aver
trasformato giocatori di dubbio valore in un complesso roccioso,
aggressivo e inaffondabile fosse una bazzecola. Come se tutti gli
allenatori del mondo riuscissero a farsi seguire da tutti i loro
giocatori, migliorandoli giorno dopo giorno e rendendoli partecipi
alla causa fino a riuscire ad annullare la differenza tra un club di
medio livello e due delle più grandi potenze economico-sportive
dell'intero continente, fino a vincere un campionato nel quale da un
decennio la lotta per il titolo era un affare a due.
A
questo punto, credo sia utile riproporre una storia tecnico-tattica
dell'Atletico di Simeone, per coglierne sia la continuità che i vari
adattamenti sopravvenuti nel corso dei due anni e mezzo in cui
l'argentino è stato sulla panchina dei colchoneros e
per fare piazza pulita dei luoghi comuni triti e ritriti che
accompagnano il Cholo. Va da sé che gran parte del
discorso verterà sull'ultima stagione (che presenterò nella
prossima parte del post), mentre il primo anno e mezzo, di cui ho già
trattato qua e là nel blog, verrà trattato in maniera più succinta
qui sotto.
Stagione
2011-2012
Come
vi ricorderete, il Cholo arrivò a metà della stagione 2011-2012,
con una situazione compromessa, e finì per conquistare la seconda
Europa League nella storia del club, dopo aver sfiorato la
qualificazione alla successiva Champions'.
Dopo
le assurdità dell'era-Manzano,
il Cholo apportò un bel po' di sano buonsenso. Sin da subito,
dal 4-1-4-1 contro il Malaga, richiese ai suoi giocatori
concentrazione, linee strette, intensità e saturazione delle linee
di passaggio avversarie. Poi, partendo da una lettura precisa e
puntuale del materiale umano a sua disposizione, ribaltò
completamente l'approccio mentale e tattico della squadra alla gara.
Niente possesso-palla, fu il succo dei suoi discorsi, nonché
l'errore che lo condannò a essere ritenuto un troglodita della
panchina. Ma l'Atletico di quell'anno fu bellissimo: schierato col
4-2-3-1, seppe variare con intelligenza tra contropiede puro,
pressing più o meno aggressivo e più o meno alto a seconda
dell'avversario, manovra propositiva e ariosa.
Il
Cholo ripescò Adrian dalla naftalina e insistette con
Juanfran terzino destro (un'intuizione, più casuale che meditata, di
Manzano, va detto) e mise Gabi e Mario Suarez in condizione di fare
l'unica cosa in cui sono bravi: riconquistare il pallone e
rilanciarlo in avanti, senza per forza agire da registi ed essere
costretti a dettare i tempi alla squadra. Alle idee e alla variazione
del ritmo ci avrebbero pensato i tre dietro a Falcao, vale a dire
Adrian, Diego e Arda Turan.
La formazione ideale dell'Atletico 2011-2012 |
A
quella disposizione il Cholo arrivò per gradi. Come da copione, la
sua prima preoccupazione fu di chiudere a doppia mandata la difesa,
quindi spazio al 4-4-2, più semplice da assimilare da giocatori in
evidente stato confusionale, e attenzione continua al raddoppio sulle
fasce, con le ali costrette anche alla fase difensiva. Col tempo,
sfruttando anche la duttilità di Diego, convinto a “scendere” a
copertura del doble pivote in fase di non possesso, Simeone modellò
poi un 4-2-3-1 fortemente variabile a seconda delle situazioni della
partita.
Stante
quindi l'obbligo di aiutare i terzini e di tenersi al di sotto della
linea della palla come strategia difensiva, i tre davanti erano
invece lasciati piuttosto liberi durante la fase offensiva, quando a
schemi ben precisi e studiati in allenamento si sommavano anche
scelte estemporanee degli attaccanti.
Se
Diego e Arda non erano particolarmente abili nel gioco tra le linee,
lo erano invece Adrian e Koke, che non a caso iniziò proprio
quell'anno a trovare spazio tra i titolari.
Adrian,
la grande sorpresa di quella stagione, fu fondamentale per la sua
capacità di disarticolare e disequilibrare le difese avversarie.
Come scrisse sul GS Valentino
Tola,
“Il movimento tipico di Adrián è il taglio senza palla dal
centro verso la fascia. Si allontana dall’area per avvicinare tutta
la squadra al gol. Muovendosi fra centrale e terzino li “blocca”
entrambi, allarga la difesa avversaria e crea uno spazio nel quale
possono ricevere liberamente l’esterno che taglia dentro (il
movimento di Diego, che ora parte a destra) o il terzino in
sovrapposizione. Un tempismo e un’intelligenza non comuni anche
nell’appoggiare il centrocampo, con giocate essenziali e
tecnicamente prive di sbavature.”.
Niente da aggiungere a tale magistrale descrizione dell'asturiano, a
parte il fatto che era ottimo anche nel movimento inverso, da destra
al centro, motivo per cui Simeone lo utilizzò come attaccante
esterno nel successivo 4-2-3-1, con Diego trequartista.
Un
grande contributo lo diede anche Falcao, al quale il Cholo
chiese non solo di segnare e muoversi all'interno dell'area di
rigore avversaria, ma anche di giocare spalle alla porta per favorire
l'inserimento dei compagni, compito che svolse benissimo e per cui
era assai portato (ricordo a tutti, sia pure nella stagione
successiva, il gran lavoro col quale favorì il gol di Diego Costa
nella finale di Coppa del Rey 2013).
Naturalmente,
anche a quell'Atletico non mancavano i difetti, principalmente legati
alla poca fluidità della manovra nella transizione dalla difesa al
centrocampo. Recuperata palla più avanti, i colchoneros
arrivavano abbastanza velocemente in porta (a meno che Diego non
portasse palla, difetto che non perse neppure quell'anno), ma la
squadra non era impostata per applicare sempre e comunque un pressing
alto. Molto spesso, dopo aver atteso e fermato gli avversari davanti
alla propria area, faticava molto nell'impostazione della difesa. Con
gli uomini a disposizione, Simeone puntò a una tripla soluzione del
problema: far alzare i terzini il prima possibile (fondamentale
dunque il doppio lavoro di copertura e offesa che soprattutto
Juanfran faticò a imparare); spingere le ali a tagliare tra le linee
avversarie; infine chiedere a Diego di abbassarsi sulla linea dei
mediani e impostare l'azione.
Con
giocatori non scelti da lui, con una squadra presa a metà stagione e
con un ambiente da ricostruire, quell'anno il Cholo fece una
grandissima
impresa. Subito vanificata da una dirigenza che non perse
l'occasione di mettere sul mercato Falcao e dichiarare urbi et
orbi che non sarebbe riuscita a riscattare Diego.
Stagione
2012-2013
E
siamo alla stagione successiva, cominciata con un'estate al
cardiopalma che in apparenza lascia in eredità la conferma di Falcao
e poco più: i due grandi protagonisti della decima Liga, Diego Costa
e Raul Garcia, rimangono solo perchè nessuna società presenta
offerte convincenti e Simeone
si impunta di fronte alla possibilità che vengano svenduti.
La
vittoria della Supercoppa Europea 2012 contro il Chelsea ci mostra
quello che forse sarà il miglior Atletico della stagione, schierato
con un 4-2-3-1 in cui viene dato maggior protagonismo ad Arda e da me
spiegato nel dettaglio.
Peccato
che il turco non ami la nuova posizione pensata per lui da Simeone e
chieda ben presto di ritornare alla più rassicurante fascia
sinistra. Peccato anche che, di ritorno dall'Olimpiade, Adrian entri
in una fase involutiva da cui non uscirà più e che porterà il club
a cederlo due anni dopo.
Ben
presto, nel tentativo di ovviare a questi problemi e supplire anche
alla carenza di fantasia e tecnica con un surplus di aggressività e
potenza, il Cholo passerà stabilmente al più tranquillo 4-4-2, con
Diego Costa seconda punta e Koke all'ala destra, in modo da
sfruttarne l'abilità nel gioco fra le linee.
Da
notare come, in fase difensiva, si veda quasi sempre un 4-5-1
impreziosito dal notevole spirito di sacrificio di Diego Costa, che
in fase di ripiegamento scala fino alla fascia destra, mentre Koke
stringe al centro a supporto del doble pivote.
È
una squadra con molti limiti ma che, come dice Simeone, ne è
pienamente cosciente e gioca in modo da neutralizzarli: preziosi per
ovviare alle difficoltà di costruzione del gioco i lanci di Miranda
da dietro e le cavalcate di Filipe Luis sulla sinistra, finalmente
tornato ai suoi livelli. Si vede sempre di più l'importanza delle
palle inattive e del gioco aereo, mentre mancano completamente i gol
dalla distanza.
In
ogni caso, dopo un buon campionato, in cui combatte per la vittoria
finale fino a gennaio, l'Atletico vince la decima Coppa del Re, in
una finale fortunata e rocambolesca, ma non immeritata, contro
l'eterno rivale.
La formazione vincitrice della Copa del Rey 2012-2013 |
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