giovedì 21 agosto 2014

JUGAR A LA CONTRA, ovvero tutta la verità sulla tattica dell’Atletico Madrid di Simeone, Parte I


Quando si parla di Simeone, di solito le opinioni sono due: molti lo dipingono come un allenatore molto scolastico; qualcun altro, magnanimamente, sottolinea che, in fondo, è un gran motivatore.
Insomma, comunque la si voglia vedere, è un allenatore che non propone novità, opinione peraltro condivisa dalle massime autorità del calcio europeo e mondiale (con poche lodevolissime eccezioni).

In fondo, pensano e scrivono in molti, il gioco dell’Atletico Madrid è solo una versione leggermente modernizzata dell’intramontabile contropiede, secondo l’ormai imperante assioma per il quale o si gioca il tiqui-taca o si è dinosauri ancorati al peggior gioco all’italiana. Chi meglio del Cholo, già sospetto per aver giocato molti anni nel Bel Paese e per aver dichiarato che per il possesso-palla non ha alcun interesse, può essere il perfetto bersaglio di una critica snob e saccente, incapace di vedere che il gioco del Barcellona non è già (né può essere) lo stesso? Pazienza se il calcio è un gioco che si evolve, se il gioco di Guardiola e quello di Tito erano già notevolmente differenti tra loro, se in Europa in molti hanno vinto e vinceranno anche in altri modi: tiqui-taca deve essere e tiqui-taca sia. Oppure il nulla. E se questo atteggiamento ha come unica conseguenza l'offesa pubblica e reiterata di chi non si adegua, in primis il Tata Martino nella liga appena conclusa, pazienza.

Come se, tra l’altro, risultare uno straordinario motivatore fosse una caratteristica ordinaria, alla portata di tutti. Come se aver trasformato giocatori di dubbio valore in un complesso roccioso, aggressivo e inaffondabile fosse una bazzecola. Come se tutti gli allenatori del mondo riuscissero a farsi seguire da tutti i loro giocatori, migliorandoli giorno dopo giorno e rendendoli partecipi alla causa fino a riuscire ad annullare la differenza tra un club di medio livello e due delle più grandi potenze economico-sportive dell'intero continente, fino a vincere un campionato nel quale da un decennio la lotta per il titolo era un affare a due.

A questo punto, credo sia utile riproporre una storia tecnico-tattica dell'Atletico di Simeone, per coglierne sia la continuità che i vari adattamenti sopravvenuti nel corso dei due anni e mezzo in cui l'argentino è stato sulla panchina dei colchoneros e per fare piazza pulita dei luoghi comuni triti e ritriti che accompagnano il Cholo. Va da sé che gran parte del discorso verterà sull'ultima stagione (che presenterò nella prossima parte del post), mentre il primo anno e mezzo, di cui ho già trattato qua e là nel blog, verrà trattato in maniera più succinta qui sotto.


Stagione 2011-2012

Come vi ricorderete, il Cholo arrivò a metà della stagione 2011-2012, con una situazione compromessa, e finì per conquistare la seconda Europa League nella storia del club, dopo aver sfiorato la qualificazione alla successiva Champions'.

Dopo le assurdità dell'era-Manzano, il Cholo apportò un bel po' di sano buonsenso. Sin da subito, dal 4-1-4-1 contro il Malaga, richiese ai suoi giocatori concentrazione, linee strette, intensità e saturazione delle linee di passaggio avversarie. Poi, partendo da una lettura precisa e puntuale del materiale umano a sua disposizione, ribaltò completamente l'approccio mentale e tattico della squadra alla gara. Niente possesso-palla, fu il succo dei suoi discorsi, nonché l'errore che lo condannò a essere ritenuto un troglodita della panchina. Ma l'Atletico di quell'anno fu bellissimo: schierato col 4-2-3-1, seppe variare con intelligenza tra contropiede puro, pressing più o meno aggressivo e più o meno alto a seconda dell'avversario, manovra propositiva e ariosa.

Il Cholo ripescò Adrian dalla naftalina e insistette con Juanfran terzino destro (un'intuizione, più casuale che meditata, di Manzano, va detto) e mise Gabi e Mario Suarez in condizione di fare l'unica cosa in cui sono bravi: riconquistare il pallone e rilanciarlo in avanti, senza per forza agire da registi ed essere costretti a dettare i tempi alla squadra. Alle idee e alla variazione del ritmo ci avrebbero pensato i tre dietro a Falcao, vale a dire Adrian, Diego e Arda Turan.


La formazione ideale dell'Atletico 2011-2012


A quella disposizione il Cholo arrivò per gradi. Come da copione, la sua prima preoccupazione fu di chiudere a doppia mandata la difesa, quindi spazio al 4-4-2, più semplice da assimilare da giocatori in evidente stato confusionale, e attenzione continua al raddoppio sulle fasce, con le ali costrette anche alla fase difensiva. Col tempo, sfruttando anche la duttilità di Diego, convinto a “scendere” a copertura del doble pivote in fase di non possesso, Simeone modellò poi un 4-2-3-1 fortemente variabile a seconda delle situazioni della partita.
Stante quindi l'obbligo di aiutare i terzini e di tenersi al di sotto della linea della palla come strategia difensiva, i tre davanti erano invece lasciati piuttosto liberi durante la fase offensiva, quando a schemi ben precisi e studiati in allenamento si sommavano anche scelte estemporanee degli attaccanti.
Se Diego e Arda non erano particolarmente abili nel gioco tra le linee, lo erano invece Adrian e Koke, che non a caso iniziò proprio quell'anno a trovare spazio tra i titolari.
Adrian, la grande sorpresa di quella stagione, fu fondamentale per la sua capacità di disarticolare e disequilibrare le difese avversarie. Come scrisse sul GS Valentino Tola, “Il movimento tipico di Adrián è il taglio senza palla dal centro verso la fascia. Si allontana dall’area per avvicinare tutta la squadra al gol. Muovendosi fra centrale e terzino li “blocca” entrambi, allarga la difesa avversaria e crea uno spazio nel quale possono ricevere liberamente l’esterno che taglia dentro (il movimento di Diego, che ora parte a destra) o il terzino in sovrapposizione. Un tempismo e un’intelligenza non comuni anche nell’appoggiare il centrocampo, con giocate essenziali e tecnicamente prive di sbavature.”. Niente da aggiungere a tale magistrale descrizione dell'asturiano, a parte il fatto che era ottimo anche nel movimento inverso, da destra al centro, motivo per cui Simeone lo utilizzò come attaccante esterno nel successivo 4-2-3-1, con Diego trequartista.
Un grande contributo lo diede anche Falcao, al quale il Cholo chiese non solo di segnare e muoversi all'interno dell'area di rigore avversaria, ma anche di giocare spalle alla porta per favorire l'inserimento dei compagni, compito che svolse benissimo e per cui era assai portato (ricordo a tutti, sia pure nella stagione successiva, il gran lavoro col quale favorì il gol di Diego Costa nella finale di Coppa del Rey 2013).

Naturalmente, anche a quell'Atletico non mancavano i difetti, principalmente legati alla poca fluidità della manovra nella transizione dalla difesa al centrocampo. Recuperata palla più avanti, i colchoneros arrivavano abbastanza velocemente in porta (a meno che Diego non portasse palla, difetto che non perse neppure quell'anno), ma la squadra non era impostata per applicare sempre e comunque un pressing alto. Molto spesso, dopo aver atteso e fermato gli avversari davanti alla propria area, faticava molto nell'impostazione della difesa. Con gli uomini a disposizione, Simeone puntò a una tripla soluzione del problema: far alzare i terzini il prima possibile (fondamentale dunque il doppio lavoro di copertura e offesa che soprattutto Juanfran faticò a imparare); spingere le ali a tagliare tra le linee avversarie; infine chiedere a Diego di abbassarsi sulla linea dei mediani e impostare l'azione.

Con giocatori non scelti da lui, con una squadra presa a metà stagione e con un ambiente da ricostruire, quell'anno il Cholo fece una grandissima impresa. Subito vanificata da una dirigenza che non perse l'occasione di mettere sul mercato Falcao e dichiarare urbi et orbi che non sarebbe riuscita a riscattare Diego.


Stagione 2012-2013

E siamo alla stagione successiva, cominciata con un'estate al cardiopalma che in apparenza lascia in eredità la conferma di Falcao e poco più: i due grandi protagonisti della decima Liga, Diego Costa e Raul Garcia, rimangono solo perchè nessuna società presenta offerte convincenti e Simeone si impunta di fronte alla possibilità che vengano svenduti.

La vittoria della Supercoppa Europea 2012 contro il Chelsea ci mostra quello che forse sarà il miglior Atletico della stagione, schierato con un 4-2-3-1 in cui viene dato maggior protagonismo ad Arda e da me spiegato nel dettaglio.
Peccato che il turco non ami la nuova posizione pensata per lui da Simeone e chieda ben presto di ritornare alla più rassicurante fascia sinistra. Peccato anche che, di ritorno dall'Olimpiade, Adrian entri in una fase involutiva da cui non uscirà più e che porterà il club a cederlo due anni dopo.

Ben presto, nel tentativo di ovviare a questi problemi e supplire anche alla carenza di fantasia e tecnica con un surplus di aggressività e potenza, il Cholo passerà stabilmente al più tranquillo 4-4-2, con Diego Costa seconda punta e Koke all'ala destra, in modo da sfruttarne l'abilità nel gioco fra le linee.
Da notare come, in fase difensiva, si veda quasi sempre un 4-5-1 impreziosito dal notevole spirito di sacrificio di Diego Costa, che in fase di ripiegamento scala fino alla fascia destra, mentre Koke stringe al centro a supporto del doble pivote.
È una squadra con molti limiti ma che, come dice Simeone, ne è pienamente cosciente e gioca in modo da neutralizzarli: preziosi per ovviare alle difficoltà di costruzione del gioco i lanci di Miranda da dietro e le cavalcate di Filipe Luis sulla sinistra, finalmente tornato ai suoi livelli. Si vede sempre di più l'importanza delle palle inattive e del gioco aereo, mentre mancano completamente i gol dalla distanza.
In ogni caso, dopo un buon campionato, in cui combatte per la vittoria finale fino a gennaio, l'Atletico vince la decima Coppa del Re, in una finale fortunata e rocambolesca, ma non immeritata, contro l'eterno rivale.


La formazione vincitrice della Copa del Rey 2012-2013

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