“Me
siento mejor con problemas
que
cuando las cosas están tranquilas”
Diego
Pablo Simeone
Maggio
1996. In ritiro a Los Angeles de San Rafael, i giocatori
dell'Atletico faticano a dormire, inseguiti fin dentro le loro stanze
da un figuro che ripete loro in continuazione: “O
ganamos o morimos ganando”.
La litania proseguirà, raccontano, anche sull'autobus che porta i
colchoneros
alla decisiva sfida per il titolo contro l'Albacete. La partita
finirà 2-0 e a segnare il primo gol, con un fragoroso colpo di testa
su punizione dalla trequarti, sarà proprio il losco figuro, al
secolo Diego Pablo
Simeone.
Diciotto
anni dopo, in piena isteria pre-Barcellona, un solo uomo sparge
tranquillità e ottimismo tra la fila scorate dei giocatori e dei
tifosi biancorossi. Sempre lui: Diego
Pablo Simeone. Nelle
sue parole, solo la gioia di giocarsi tutta la stagione in due gare
secche, contro le due rivali storiche.
In
campo, in effetti, nessuna paura. L'Atletico ha cominciato bene,
imbrigliando gli avversari, pressando alto e dimostrando di poter
controllare abbastanza agilmente la partita. Però, siccome siamo
quello che siamo e non possiamo semplicemente vincere, alla nostra
partita mancava l'ospite più affezionato, quello che non manca mai,
neppure quando si cerca in tutti i modi di evitarlo: la Sfortuna.
Quindici
minuti e Diego Costa, su uno scatto, si ferma e fa segno di non poter
continuare. Altri sette minuti e Arda Turan, dopo un normalissimo
scontro di gioco, si accascia e chiede la sostituzione.
Ventidue
minuti di gioco e le due punte di diamante dei colchoneros
sono costrette ad abbandonare il campo. Sono due gran brutti colpi,
di quelli che stroncherebbero un bisonte.
L'Atletico, in
realtà, non pare particolarmente scosso dalla mala sorte: sa che
basta un pareggio e che sta giocando bene. Sa che la partita può
essere condotta in porto comunque: molte volte, nel corso della
stagione, è uscito indenne da situazioni ben peggiori. Per di più,
gli avversari giocano lentissimi, ruminando un pallone di cui non
sanno cosa fare. Qualche tiro da lontano, qualche cross senza un vero
costrutto.
La
partita è in perfetto equilibrio. È il momento giusto, dunque, per
subire il terzo
terribile colpo della Sorte:
Alexis Sanchez raccoglie un pallone controllato da Messi e scaglia
una folgore imprendibile nella porta biancorossa. Un tiro fantastico,
va detto, ma di quelli che riescono una volta sola nella vita (e
ovviamente contro l'Atletico, ça
va sans dire...).
“Avevamo
buttato via la partita […], provai quel
terribile
sentimento che avevo già provato da piccolo:
odiavo
l'Arsenal, e il club era un fardello che non
riuscivo
più a sopportare, ma di cui non sarei mai e poi
mai
riuscito a liberarmi. […] mi sedetti, troppo stordito
dal
dolore e dalla rabbia e dalla frustrazione e dall'
autocommiserazione
per restare in piedi”
Nick
Hornby, “Febbre a 90'”
A quel punto,
in pieno sbandamento, l'Atletico è stato a un passo dal tracollo: un
altro gol, e le gazzette si sarebbero riempite di elogi alla
resurrezione blaugrana. O almeno così credo, perchè di
quella mezz'ora non ho nessuna memoria.
Dietro a un
velo di lacrime, non riuscivo a pensare ad altro che al dolore di
veder svanire il traguardo
proprio all'ultimo, dopo averlo corteggiato e assaporato a lungo. Non
vedevo lo schermo, non udivo la telecronaca. Buio. Buio
totale e lacrime
di rabbia e scoramento.
Il
calcio è così, pensavo. La vita è così, pensavo. Una squadra
scesa in campo senza capo né coda, arrivata all'ultima spiaggia
senza neppure bene sapere perchè, guidata da un allenatore
inconsapevole, piena di giocatori scoppiati che andavano avanti a
forza di inerzia, rischiava di vincere un campionato immeritato. E
noi, noi che questo campionato ce lo eravamo sudato e guadagnato con
la fatica e il lavoro, noi avremmo dovuto cedere le armi. Dov'è il
merito, nella vita, se non c'è neppure nel calcio? A cosa servono
anni di sacrifici, se poi basta un colpo fortunato a far pendere la
Bilancia dalla parte di chi, ricco e viziato, non ha fatto nulla per
meritarsi regali dalla Sorte?
Possibile
che debba sempre andare a finire così, con l'Atletico? Possibile che
ogni traguardo debba essere da noi meritato non una, ma due o forse
anche tre volte? Non sarebbe, ogni tanto, rilassante vincere in
maniera netta, chiara e immediata fin da subito?
“Ma
poi Alan Sunderland mise il piede sul pallone,
lo
infilò dentro, proprio nella porta di fronte a noi,
e
io non gridai «Sì» o
«Gol» o uno di quei versi che
normalmente
mi salgono dalla gola in questi momenti,
ma
solo «AAAARRRRGGGGHHHH», un rumore che
nasceva
da gioia assoluta e incredulità, e improvvisamente
ci
furono di nuovo persone sulle gradinate di cemento,
ma
stavano saltando una sull'altra, con gli occhi fuori dalle
orbite
e impazzite”
Nick
Hornby,
“Febbre a 90'”
Stavo
per chiudere tutto e andarmene altrove, qualunque cosa questo potesse
significare, quando David
Villa ha colpito il
palo, subito in avvio di secondo tempo. Non ricordo l'azione, ma solo
l'urlo del telecronista, che è penetrato, strato dopo strato, nel
mio dolore, si è fatto strada tra le mie lacrime e mi ha riportato
piano piano alla realtà.
Allora
ho rimesso a fuoco la vista e ho visto che mia figlia, questo piccolo
frugoletto cui ho fatto per mesi un lavaggio del cervello che neanche
nelle peggiori dittature e che aveva passato giorni e giorni a girare
per casa cantando “Aleti! Aleti!”, aveva messo sul tavolo,
accanto al computer, il suo ciuccio dell'Atletico.
Doveva
essere entrata mentre ero obnubilato dal dolore. D'istinto, ha fatto
un gesto che non potevo non intendere come una promessa di Speranza.
Allora
mi sono vergognato di me stesso, di essermi fatto vedere così. “È
questo che farebbe il Cholo?”, ho pensato. “O piuttosto non
combatterebbe con tutto se stesso, perchè si perde solo dopo la
fine, non prima?”.
Ho
guardato lo schermo e ho visto Gabi dirigersi verso la bandierina del
corner. Parabola arcuata, salto di qualcuno in mezzo all'area e... la
mia mente non voleva crederci... la palla era DENTRO!!!... Godin
veniva travolto dai compagni!!!... ma accade veramente???... sta
accadendo veramente???... è 1-1,
è 1-1!!!!!! Lo
diceva il Cholo!!!... Lo diceva!!!...
“Thomas
superò la difesa, da solo, e l'Arsenal ebbe
una
possibilità di vincere il Campionato. […] e anche
allora
scoprii che mi stavo trattenendo, memore dei
recenti
errori rimanevo chiuso in un temprato scetticismo,
pensando,
be', se non altro ci siamo andati vicini,
invece
di pensare: per favore Michael, per favore Michael,
per
favore mettila dentro, Dio fa che segni. E poi era lì
che
faceva capriole, e io ero lungo disteso per terra,
e
tutti in salotto saltavano sopra di me.
Diciott'anni,
tutti dimenticati in un secondo”
Nick
Hornby,
“Febbre a 90'”
A
questo punto, vorrei dirvi di aver riacquisito tutta la granitica
certezza che deriva dal Cholismo. Sarebbe bello, eh? Ma invece no.
Certo,
ho stretto in mano il ciuccio comperato a Madrid e ho cullato in me
la sicurezza nascosta che ormai era fatta, che dopo un Segno così
non ci poteva essere sconfitta; ma in realtà sobbalzavo ogni volta
che il Barcellona usciva dalla propria area. Il che vuol dire quasi
sempre, visto che i colchoneros,
dopo la vibrante fiammata dei primi quindici minuti del secondo
tempo, ritornavano pian piano a essere schiacciati nella propria metà
campo.
Stanchi,
i nostri
resistevano come potevano contro un Barça più velleitario che
efficace: Miranda giocava come un dio greco, Godin lottava come un
Ciclope, mentre Filipe e Sosa cercavano in tutti i modi di imbastire
contropiedi, Gabi e Koke correvano per venti e Tiago ci metteva
l'anima.
I
minuti passavano e i nostri avversari, benchè padroni del campo, non
creavano pericoli.
Perfetto,
se non ci fosse stato quel fastidioso precedente nel primo tempo...
però ora avevo il ciuccio e la Speranza, pensavo. E se subiamo un
gol proprio all'ultimo minuto? Sì, ma ho il ciuccio... O magari
proprio adesso, durante i minuti di recupero? Sì, ma c'è il
ciuccio... O no? Ma certo!!! Certo!!!
Ed
ecco il FISCHIO
FINALE!!!
E
i nostri eroi che si abbracciano.
E
mia figlia che magicamente mi riappare accanto e guarda un po'
stranita le mie lacrime di gioia.
Diciott'anni,
tutti dimenticati in un secondo.
Saber
perder es mucho más difícil que saber ganar. Por eso,
el
triunfo de los que han perdido mucho es un tesoro más
dulce,
más intenso, más heroico y duradero que cualquier otro.
La
tenacidad, la lealtad, la perseverancia, la fortaleza
imprescindible
para resistir la tentación de abandonar,
de
desertar, de unirse a la corriente del favorito,
forja
la voluntad, endurece la piel y acoraza el espíritu.
Enseña
a apreciar la diferencia entre el verbo ser y el
verbo
estar. Entre el verbo creer y el verbo comprar.
Entre
la razón y los sentimientos. Entre la arrogancia y
el
orgullo legítimo. Y, sobre todo, entre el valor y el precio.
Yo
lo sé porque mi corazón, que es rojo, es también rojiblanco.
E
ora, cosa resta?
Gioia,
gioia infinita.
Come
saprete, non credevo in questo titolo, mi sembrava impossibile. E poi
ne avevo già vissute tante, di delusioni, da non poterle neppure
enumerare...
Però
ora mi volto indietro e questo titolo mi pare il più bello, il più
MIO. Se penso alle ultime tre Ligas vinte, mi sembra inevitabile: nel
1977 avevo un anno e neppure sapevo dell'esistenza dell'Atletico; nel
1996 internet era ancora in embrione e ricordo di aver visto una
decina di partite al massimo su Koper-Capodistria (con l'Albacete
c'ero, oh, se c'ero...). Ma qui, qui io ci sono stato: 56 partite su
61 non sono uno scherzo, no? E ben due dal vivo...
1996
– 2014:
diciott'anni, tutti dimenticati in un secondo.
Leggo
le parole di Almudena Grandes, tifosa biancorossa da sempre, e mi
commuovo. E penso: questa volta c'ero veramente, non solo attraverso
qualche partita alla TV e la spasmodica attesa dei risultati sul
Guerin Sportivo.
Alzo
lo sguardo sulle foto dei miei eroi dell'adolescenza appesi alla
parete, Futre, Baltazar, Manolo, Schuster, Kiko, Caminero e tutti gli
altri. E penso: ragazzi, scusate, ma questi qui vi hanno superato.
Anche perchè io c'ero, e scusate se è poco.
Guardo
le foto dei trionfi degli anni 50, 60 e 70 e mi accorgo che, di là,
mia figlia canta da minuti e minuti “Diego Godin! Diego Godin!
Diego Godin!” al modo del Frente Atletico. E penso: ragazzi,
scusate, ma questa è storia vissuta, non letta sui libri.
E
allora gioia,
gioia
infinita...
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