Stagione
2013-2014
E
venne l'anno del trionfo. Non parlo semplicemente della vittoria
nella Liga e dell'impresa di Champions', ma dell'impressione costante
di solidità ed estrema compattezza lasciata dalla squadra, anche nei
momenti di grave difficoltà. È
questo, a mio parere, il vero capolavoro del Cholo: aver creato una
squadra che sembra in grado di durare anni e di mietere successi, o
almeno provarci, per molto tempo ancora.
Tuttavia,
ancora una volta il percorso non è stato facile, tra ostacoli
inaspettati ed errori evitabili. A cominciare dalla solita
estate funestata da voci incontrollate su fughe
e partenze e da tormentoni su arrivi di fenomeni, comprati o in
prestito: niente che non si fosse già visto. Alla fine, Falcao se ne
va, arriva Villa a sostituirlo (!!), Courtois rimane un altro anno e
un paio di giocatori di buon livello e niente più (Alderweireld e
Guilavogui) vengono comprati proprio all'ultimo giorno di mercato.
Tutto il peso dell'attacco va sulle spalle di Diego Costa, altra
grandissima intuizione di Simeone, mentre il Messia Diego Ribas non
arriva e Koke sembra ormai destinato al posto da titolare.
L'inizio
della stagione consegna
al mister argentino una squadra
di non grande livello tecnico e di poca fantasia, oltre che dalla
panchina corta: urgono idee e Simeone non si fa proprio pregare per
trovarle.
L'Atletico
si muove nel solco già tracciato, approfondendo e sviluppando i
concetti pazientemente inculcati da Simeone nei suoi, ma aggiunge
alcune soluzioni dettate dagli uomini a disposizione.
In
primo luogo, linee strette e posizioni ben definite in
campo: non importa cosa faccia l'avversario, gli unici riferimenti
sono la palla (che orienta la posizione generale della squadra,
“slittata” su un lato o centrale) e i compagni, con i quali si
forma un muro che, di fatto, rende complicata e poco produttiva
qualunque soluzione adottata dai rivali. Nessuno esce dai ranghi, se
non in poche situazioni ben chiare (per esempio se l'avversario
riceve spalle alla porta e non è lontano), in modo da formare sempre
un ostacolo insormontabile per la circolazione di palla avversaria.
Immagine 1. Linee strette e
riferimento continuo ai compagni
|
Poi,
il pressing portato fondamentalmente dalla metacampo in giù,
con più rari tentativi di alzarlo fino alla trequarti avversaria, a
seconda del livello e del gioco dei rivali. Qui si tratta della
declinazione difensiva di una delle caratteristiche più evidenti
della squadra di Simeone, ovverosia la capacità di giocare in
relazione alle caratteristiche dell'avversario e alla fase specifica
della partita. Tuttavia, l'ossessione del Cholo per la copertura
della propria porta fa sì che raramente si veda da parte dei
colchoneros un pressing alto.
Immagine 2. Pressing
dei colchoneros nel primo e nel secondo tempo contro il Milan a San
Siro: più basso nei primi 45 minuti, più alto in seguito
|
In
ogni caso, è una caratteristica imprescindibile della fase
difensiva, al di là di quanto alto o basso sia il baricentro,
mantenere una costante occupazione degli spazi dietro la linea
della palla (come si vede chiaramente in Immagine 1).
Questo
semplice accorgimento permette all'Atletico non solo di bloccare le
linee di passaggio in avanti tramite un addensamento sulle
direttrici delle stesse, vale a dire una sorta di difesa passiva e
statica (per cui rimando ancora a Immagine 1), ma permette
altresì di creare continue gabbie sui portatori di palla
avversari nei momenti in cui il gioco scivola inevitabilmente sugli
esterni, con un continuo slittamento dei colchoneros verso il
lato forte avversario. Modalità e tempi di questa difesa attiva e
dinamica sono di pertinenza, fondamentalmente, di Gabi,
capitano e anima tattica della squadra: ecco spiegata la difficoltà
di sostituire un giocatore per nulla appariscente, assolutamente non
eccezionale sul piano tecnico, ma terribilmente efficace su quello
tattico. La malizia e l'abilità necessarie per questo ruolo nel
gioco di Simeone si riveleranno, nel corso dell'anno, un ostacolo
insormontabile per il povero Guilavogui, tanto per fare un esempio.
Immagine 3. La gabbia sul portatore
di palla in zona laterale. Osservare la posizione di Gabi.
|
In
ogni caso, anche se i suoi critici lo negano, Simeone pensa anche al
gioco d'attacco. Solo che questo gioco, per il tecnico argentino,
deve basarsi essenzialmente su un concetto solo, la semplicità.
Da
che mondo del calcio è mondo del calcio, semplicità significa una
cosa sola: verticalità spinta; non bellissima da vedere,
certo, ma tremendamente efficace. Semplicemente, si deve arrivare in
porta col minor numero di tocchi possibili, un concetto che vale
anche per le volte in cui è l'Atletico a fare la partita: le
triangolazioni sono necessarie solo se servono a uscire dal pressing
avversario o a creare la superiorità nella zona della trequarti
avversaria. Nel mondo del Cholo, non esiste altro spettacolo
che non sia il gol: di conseguenza, tutto ha senso (ed è ammesso)
solo se serve a raggiungerlo. Triangolazioni fini a se stesse,
passaggi che non abbiano come scopo l'avvicinamento alla porta e
inutili tergiversamenti non hanno ragione d'essere. Ne consegue che
il possesso-palla sia quasi sempre, inevitabilmente, inferiore a
quello degli avversari e che, per il ribaltamento del fronte del
gioco, siano fondamentali anche i lanci dalle retrovie di Miranda,
il veloce recupero di palla da parte del doble pivote e
gli inserimenti offensivi di Godin.
Come
si noterà, nessuno di questi concetti è nuovo, ma anzi è stato
continuamente messo in pratica e raffinato nel corso
dell'era-Simeone. La novità della stagione riguarda il modo
in cui questi concetti vengono declinati sul campo, una volta
cambiato il contesto specifico: Falcao e Diego non ci sono più,
Adrian non offre sufficienti garanzie, Arda non ama giocare al
centro; Koke è emerso come pedina imprescindibile. A questo punto,
Simeone imposta il nuovo progetto su Diego Costa, che già
nell'anno precedente aveva messo in mostra velocità, resistenza e
disponibilità al sacrificio. Quello che tutti si domandavano è se
fosse in grado di agire come prima punta nominale e non come
attaccante di movimento gravitante intorno a un centravanti come
Falcao. Nel dubbio, Simeone imposta un modulo che, in difesa, tiene
conto della grandissima duttilità di Costa e della ridotta
mobilità di Villa:
tocca al brasiliano retrocedere sulla linea dei centrocampisti in
fase difensiva. Quindi spazio a un 4-4-2
che, in fase difensiva, si trasforma facilmente in un 4-5-1.
Immagine 4. Il movimento di Diego
Costa in fase difensiva e i conseguenti spostamenti di Koke e Villa
|
Per
aumentare ulteriormente la densità a centrocampo e in difesa, il
movimento difensivo prevede anche che a turno uno dei due centrali si
abbassi sulla linea dei difensori o appena prima, pronto a uscirne se
necessario.
Immagine 5. Il movimento dei
centrali
|
In
attacco, buona parte della transizione offensiva è retta dai
terzini, che si muovono in perfetta sinergia con le già
ricordate incombenze di Miranda, Godin e del doble pivote.
A
seconda del lato d'attacco, uno dei due terzini avanza molto e
l'altro accorcia sulla linea di centrocampo, mentre Costa e Villa
scompaginano la difesa avversaria e a turno Koke o Arda
si posizionano sulla trequarti per dettare la triangolazione corta
verso il fondo o cercare il passaggio filtrante verso
l'interno dell'area avversaria.
Immagine 6. Attacco dal lato
sinistro
|
Immagine 7. Attacco dal lato destro |
Come
si può vedere, Simeone aveva previsto un ruolo molto importante
per David Villa, anche e
soprattutto in considerazione del fatto che le caratteristiche
dell'asturiano e di Diego Costa sono complementari, o almeno così
parevano.
Immagine 8. Area di gioco di David
Villa
|
Immagine 9. Area di gioco di Diego
Costa
|
I
compiti assegnati all'attaccante asturiano erano principalmente due.
Doveva
innanzi tutto permettere alla squadra di uscire dalla posizione
difensiva (vedi Immagine 4), essenzialmente dettando il
passaggio lungo per lo scatto in profondità o
appoggiando per gli inserimenti di Costa e dei centrocampisti,
agendo cioè come vero e proprio pivot.
Se
invece la squadra fosse già stata in fase offensiva, avrebbe dovuto
risucchiare i difensori avversari e favorire gli inserimenti
dei compagni, sia retrocedendo che muovendosi sui lati. Inoltre,
avrebbe dovuto svariare sulle fasce (con un movimento opposto e
sincrono a quello di Diego Costa), anche in questo caso per aprire
spazi.
Immagine 10. I movimenti di Villa e
quelli dei compagni in fase d'attacco
|
Come
si vede, un lavoro tattico notevole, non certo alla portata di
calciatori giovani come ad esempio Leo Baptistao, il che
spiega (insieme con quanto detto sui movimenti di Gabi) perchè
Simeone punti su giocatori esperti, pur se non necessariamente
anziani, e perchè ci voglia molto tempo per entrare nei meccanismi
del Cholo.
Questo,
a grandi linee, il quadro generale della stagione. Peccato però che
ben presto tutti si siano accorti che la condizione di Villa non
permetteva affatto questo tipo di gioco e che, nei fatti, tutto
questo era improponibile (per dire, io l'ho visto solo nella
partita dal vivo contro il Rayo, ed era la seconda di campionato...).
Ben presto è apparso chiaro a tutti che il peso tattico di Villa
sarebbe stato ininfluente, considerata la sua difficoltà di
corsa e la mancanza di spunti sulla media e lunga distanza.
Quindi,
appena iniziata la stagione, Simeone si è trovato ad avere a che
fare con un problema in più oltre a quelli già presenti e
ormai “storici”: come compensare le difficoltà di Villa?
Sostituirlo? Modificare, se non lo schema tattico, almeno i movimenti
correlati ad esso?
Alla
fine, la soluzione è stata doppia.
Inizialmente,
contando anche sul fiuto di Villa e su quanto, almeno in termini di
reti, l'asturiano potesse apportare, Simeone ha puntato a un gioco
nel quale, sia in fase difensiva che offensiva, i due attaccanti
rimanessero affiancati e si aiutassero l'un l'altro: in
particolare, vista la difficoltà nello scambio di Diego Costa ma
anche la sua disponibilità al sacrificio, a Villa toccava
l'assistenza in zona d'attacco e al brasiliano il sostegno in fase
difensiva.
Immagine 11. Villa e Diego Costa in
fase difensiva, un ulteriore "muro" per l'impostazione
avversaria
|
Quando
(molto presto...) la condizione di Villa è scaduta in maniera
imbarazzante, la soluzione ha avuto un nome e un cognome, vale a dire
Raul Garcia: non veloce, ma abbastanza rapido da poter
assicurare copertura al centrocampo e abbastanza potente da
affiancare Costa nell'area avversaria quando ci si fosse arrivati con
gioco manovrato; sostanzialmente inutile nelle gare da contropiede se
non come pivot (ricordate contro il Barça in Champions'?) o
sui calci piazzati.
Raul
Garcia ha giocato una seconda parte di stagione strepitosa, ma
ciò non deve farci dimenticare che, alla fine, rimane un jolly
e non un giocatore chiaramente inseribile in un progetto tattico.
Ripeto brevemente cose già dette molte volte: troppo lento per
essere una seconda punta o un'ala, troppo statico e “quadrato”
per essere un fantasista o un trequartista, troppo poco “presente”
per giocare nel doble pivote, rende al massimo nelle mischie
d'area (novità di questa stagione) o sulle palle vaganti nella
confusione della trequarti avversaria.
Quindi
una non-soluzione, pur se di straordinaria efficacia, e non è un
caso che il Cholo, alla ricerca di un quadro stabile più definito,
abbia chiesto, richiesto ed infine ottenuto, durante il mercato
invernale, Diego Ribas e Sosa, cioè la fantasia e la velocità
che auspicava per sanare una situazione che rischiava di farsi
pesante.
Diego
è stato utilizzato subito, contro il Real Madrid in Coppa
del Re, nel tentativo di rispolverare un 4-2-3-1 che
invece, come sapete tutti, è
naufragato inesorabilmente: per far spazio al brasiliano, la
squadra è stata stravolta e i protagonisti di quella cavalcata si
sono ritrovati pesci fuor d'acqua. Troppo diversi Costa e Falcao,
troppo “assente” Adrian, troppo lenti Koke e Raul Garcia, troppo
cambiato (in peggio...) Diego Ribas, perchè il modulo con cui
l'Atletico si era trovato meglio negli anni precedenti potesse
funzionare.
Anche
qui, con grande intelligenza e ottimo spirito di adattamento, Simeone
si è subito adattato: accantonamento-lampo di Diego Ribas, spazio di
nuovo a un 4-4-2 con Raul Garcia quasi fisso, salvo i
momenti di grazia di Villa, e tutti indietro a sfruttare la
potenza di Diego Costa con palloni in profondità. Una soluzione –
non-soluzione che ha
progressivamente inaridito il gioco, ma che è stata
terribilmente efficace, anche se ha avuto alcuni gravi
punti deboli, principalmente la tendenza, a quel punto, a
difendere bassissimo e a trovarsi poi a dover recuperare tutto
il campo, essendo, al momento del recupero della palla, tremendamente
lontani dalla porta. Senza Filipe, Juanfran e Costa tutti
insieme in campo, una missione impossibile, come ha dimostrato la
finale
di Champions'.
Immagine 12. L'Atlético di fine
2013-2014
|
Così
si spiega un finale di stagione sconcertante, in cui abbiamo
ottenuto due punti in tre partite in Liga e abbiamo perso all'ultimo
in Champions'. Si potrebbe dire che Simeone ha fatto il massimo
col poco che gli è stato dato, cioè una panchina corta e
sbilanciata, ed è la verità, ma in realtà sull'allenatore
argentino pesa la macchia di un mercato invernale
deficitario, che ha portato giocatori esplicitamente richiesti
dal Cholo e tuttavia gravemente insufficienti alla prova del
campo. Un errore societario e uno gestionale dell'allenatore che
hanno generato una squadra sulle ginocchia a fine stagione.
Se
questa è la conclusione, vi chiederete, perchè allora due lunghi
articoli di esaltazione di Simeone e della sua abilità tattica e
gestionale?
Perchè,
in verità, io credo che il Cholo abbia veramente fatto il
massimo. Ovverosia, sono convinto che, se potesse scegliere,
cioè se avesse un budget di mercato illimitato, non vorrebbe certo
giocare così. O meglio ancora, vorrebbe un gioco che salvaguardi
questi principi tattici di base, ma con interpreti di ben altro
livello. Chi crede che un gioco povero ma efficace sia il
desiderio di Simeone si sbaglia: avete visto le partite di Champions'
contro l'Austria Vienna, il Barcellona o il Chelsea?
Per molti tratti, spettacolo puro. Così come il 2-2 al Real
in Liga, caratterizzato da un pressing alto e da un ritmo
eccezionale.
Davvero
pensate che, potendo scegliere, vorrebbe un Mario Suarez per il suo
centrocampo? O un Diego Ribas come trequartista?
“Bella
forza”, direte, “così chiunque potrebbe vincere”. Già,
però...
A
parte il fatto che non è vero, il vero merito di Simeone è stato
vincere con un gruppo di giocatori medi innervato da alcuni
campioni che hanno ricevuto l'input per diventare tali proprio
da lui. Chi non vorrebbe un Matic al posto di Mario, tanto per fare
un nome? Tutti. Chi vincerebbe con un Mario? Solo il Cholo, io
credo. In fondo, un allenatore che va di moda e che apre bocca solo
per sputare veleno sugli altri ha deciso, quest'estate, che il suo
nuovo progetto vincente doveva passare solo e solamente
dall'inserimento di un bel po' di DNA cholista
(Courtois, Filipe Luis e Diego Costa) nella sua nuova squadra,
guardandosi bene però dal dirlo in giro. E se non è un attestato di
aver fatto un buon lavoro questo...
Alla
fine, comunque la si guardi, è così. L'Atletico ha alcuni grossi
problemi, che si trascina da anni (panchina corta a causa di una
situazione finanziaria pessima, una zona centrale pochissimo
propositiva e per di più neppure forte sul piano dell'interdizione,
mancanza di fantasia, una cronica instabilità degli effettivi,
venduti appena arriva l'offerta giusta), ma è la squadra che ha
vinto di più negli ultimi anni. E lo ha fatto perchè c'è il
Cholo, quello che fa le nozze coi fichi secchi, quello che ogni anno
si inventa correttivi per le lacune vecchie e nuove della squadra,
quello che sta costruendo un progetto per ora basato principalmente
sull'organizzazione e sul mutuo soccorso, ma in futuro anche
sulla tecnica e sulla fantasia.
Se
poi molti non sanno vedere al di là del proprio naso, non sanno
cogliere la differenza tra ciò che sembra e ciò che invece è (e
proprio per questo, potrebbe divenire)... poveri loro.
Per
queste persone, l'Atletico gioca solo al contropiede. Per queste
persone, l'Atletico no juega a nada. Per queste persone,
l'Atletico sa solo fare falli e giocare sporco.
Bene,
signori, il mondo è vasto. Girate pure canale, altrove ci sono il
PSG, il City e chissà chi altri. Guardateveli, ma non piangete se
poi, molto prima del più bello, lo spettacolo si interrompe: non è
da tutti saper arrivare fino in fondo, sempre e comunque.
P.S.
È doveroso segnalare che le immagini 1, 3 e 11
non sono mie, ma di Valentino
Tola. Confesso anche che, schiacciato dai tempi, non gli ho
chiesto il permesso di poterle utilizzare. Credo che non se avrà a
male, anche perchè non ho davvero problemi a dire che, se ho una
competenza di qualche tipo sul piano tattico, è quasi esclusivamente
merito suo e dei suoi articoli straordinari, che mi hanno insegnato
non molto, ma moltissimo.
P.S.
2 A questo seguirà un Jugar a la
contra – parte III, che cercherà di
far luce sulle tendenze del futuro, anche sulla base del mercato e
delle prime impressioni della stagione (grazie anche alla mia ormai
abituale visita dal vivo al Calderón). Un post dedicato
esclusivamente alla valutazione della rosa è atteso per
ottobre-novembre, come l'anno scorso.
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