Se guardiamo al
risultato, allora la partita del Venerdì Santo ci ha regalato
notevoli soddisfazioni: manca un incontro in meno e il nostro
vantaggio sui diretti inseguitori rimane intatto; non si è fatto
male nessuno in vista della semifinale di Champions' e, soprattutto,
siamo a sole tre vittorie da quel titolo che, dal 1996, non abbiamo
mai neppure sfiorato e che, anche solo due mesi fa, pareva
fantascienza.
Però...
ecco il Però.
Usciti dalla
logica del risultato, non rimane poi molto, se non la constatazione
di una condizione fisica buona.
L'aspetto più
sconcertante è stato l'atteggiamento con cui i biancorossi
hanno giocato la prima frazione di gara. Di fatto, il primo tempo è
stato buttato via: praticamente nessuna occasione da rete, il pallino
del gioco lasciato per lunghi tratti agli avversari, diverse parate
decisive di Courtois. Come ho già detto, è stato uno spettacolo
sconcertante.
Il Cholo è
intervenuto dopo venti minuti, passando da un cauto 4-4-2 a un più
offensivo (almeno sulla carta) 4-2-3-1, ma la prestazione dei
colchoneros è, se si può immaginarlo, persino peggiorata: Filipe
veniva continuamente superato sul centrosinistra da Carles Gil, abile
a inserirsi alle sue spalle, mentre in generale l'Elche giocava tra
le linee e metteva spesso in inferiorità numerica i biancorossi. Non
è la prima volta che l'Atletico si trova in simili difficoltà, ma
finora ne era quasi sempre uscito con freddezza, sapendo
capitalizzare il senso di falsa sicurezza che ne derivava per gli
avversari. Invece, questa volta, niente: passaggi sbagliati, nessuna
corsa senza palla, nessuno smarcamento, spesso neppure la capacità
di uscire palla al piede dal pressing avversario. Intendiamoci, i
nostri avversari sono stati bravi e attenti, ma sono e rimangono...
l'Elche, cioè non esattamente uno squadrone.
La verità è
che la formazione schierata all'inizio è stata clamorosamente
sbagliata, come dimostrato anche dalla rapidità con cui Simeone ha
effettuato tutte e tre le sostituzioni nel secondo tempo. Adrian
è ormai l'ombra di se stesso e non sarà una prestazione decente
contro il Barcellona a modificare la mia idea. Per di più, la sua
posizione allora era stata quella di punta, cioè di sostituto
testuale di Diego Costa, e non quella di ala di un centrocampo a
quattro, ruolo per il quale non è portato, né ha la volontà. Forse
peggio di lui ha fatto David Villa, che in settimana avrebbe
dichiarato, tra l'altro, di voler rimanere un altro anno a Madrid:
ottimo, se si riduce lo stipendio a un terzo, visto che ormai altro
non è e non può essere che un rincalzo, se volete il grande vecchio
da far partire dalla panchina e da tirare fuori dalla naftalina
quando gli altri sono infortunati. Sono parole dure quelle che
scrivo, ne convengo, ma ormai non riesco a vedere l'utilità di
questi due per i colchoneros: da anni Adrian e da mesi l'asturiano
non svolgono neppure il lavoro tattico che viene loro affidato, ma
vagano smarriti per il campo.
L'orrendo tiro
dal dischetto con cui Villa ha aperto il secondo tempo è forse il
segno definitivo del tramonto del Guaje: di fronte a un
portiere che si sposta così tanto lungo la linea di porta, bisogna
solo mantenere una certa freddezza (la sua solita freddezza,
aggiungo, per chi volesse dirmi che la faccio facile, dalla mia
scrivania) e tirare dalla parte opposta. In fondo, ha fatto così
anche Costa, che pure è tutt'altro che un rigorista impeccabile.
Con Diego Costa
e Koke tutt'altro che brillanti e con i terzini particolarmente
imprecisi, non sorprende che il gioco dei colchoneros fosse statico e
involuto e che gli ilicitani riuscissero a controllare agilmente la
partita.
Non appena
Simeone ha dato spazio a Raul Garcia, Sosa e Diego, la partita è
cambiata: molto più dinamico, l'Atletico ha schiacciato i rivali
nella loro metacampo, pur continuando a omaggiarli di parecchi errori
nei passaggi. In ogni caso, è apparso chiaro che il divario tra
biancorossi e biancoverdi fosse molto più ampio di quanto fosse
parso fino ad allora.
Tuttavia la
situazione stava facendosi sempre più scomoda per i biancorossi,
pressati dalla necessità di vincere e da un Calderon in spasmodica
attesa. Niente sembrava avere sorte, dopo gli orrendi sprechi di cui
i colchoneros si erano macchiati fino ad allora: un intero primo
tempo e un rigore buttati via di solito si pagano salatissimi.
Proprio allora
però, quando era ancora più necessario usare la testa, è apparso
San Joao Miranda: su calcio d'angolo di Sosa, il brasiliano ha
lasciato partire un terrificante colpo di testa a incrociare che ha
sbriciolato le speranze degli ospiti.
Ancora una volta una giocata a palla inattiva ha permesso all'Atletico di passare in vantaggio e di mettersi nella situazione che maggiormente preferisce, vale a dire quella in cui controlla il gioco. Anche qui, tuttavia, devo rilevare un altro atteggiamento sconcertante: la tendenza, evidente nelle ultime partite, ad abbassare eccessivamente il proprio baricentro e a difendere a ridosso della propria linea di trequarti. Non è sempre stato così, è un fenomeno accentuato negli ultimi mesi e che, a parer mio, porta solo problemi: persino un Elche qualsiasi riesce a minacciare la porta colchonerra, con una opposizione così debole (e infatti gli ospiti qualche occasione l'hanno avuta, dopo il nostro gol); inoltre l'eccessiva lontananza dalla porta avversaria rende i colchoneros molto meno letali nel contropiede, che di fatto è affidato sempre e comunque solo alle sgroppate di Diego Costa, spesso lanciato in maniera approssimativa in un nugolo di avversari. Ci si affida quasi esclusivamente alla solidità dei due centrali e del portiere, ma mi pare che si dimentichi con troppa facilità che l'errore o la palla sporca possono sempre capitare.
Insomma,
difendere con le barricate un misero 1-0 è un rischio troppo grande.
Certo, il rigore segnato da Costa ha modificato il risultato, ma alla
fine non credo che il discorso cambi molto.
Naturalmente,
non sto certo predicando una condotta dissennata, sia chiaro. Sono
ben conscio della situazione: mancano ormai pochissime partite e la
benzina, per quanto presumibilmente più abbondante che per molti
altri, non è infinita. Dico solo che vanificare tutto o una parte
del lavoro fatto per scarsa intensità (il primo tempo di venerdì),
per esagerata prudenza o per eccessiva imprecisione nei tiri o nei
passaggi sarebbe un peccato mortale, dal quale dobbiamo guardarci con
la stessa attenzione con cui ci guardiamo da un eccessivo
sbilanciamento in avanti.
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