Pochi
giorni prima della partita di Leverkusen, Alvaro Dominguez, a precisa
domanda, rispondeva che non sapeva dire se l’Atletico di quest’anno
fosse più forte o più debole di quello dell’anno scorso. Ciò che
notava era semplicemente che si tratta di due squadre diverse nel
gioco, ma accomunate dalla medesima forza mentale, dalla stessa
capacità di concentrazione e dall’uguale voglia di vincere.
Ora,
io non so dire se le parole del nostro ex-canterano fossero
sincere o viziate dall’affetto verso i nostri colori, d’altra
parte è dimostrato che fare il calciatore non significa per forza
capire di calcio, ma mi pare chiaro che la risposta non
corrispondesse a verità.
Se
c’è infatti una cosa che la partita contro il Bayer ci mostra, è
senza dubbio che questo Atletico non è affatto quello dell’anno
scorso. Non si tratta neppure di tattica (ovviamente non è quello
dell’anno scorso), ma di mentalità.
Ormai
le partite caratterizzate da un approccio sbagliato si susseguono con
discreta regolarità, da Barcellona, al Celta, al Bayer (solo per
limitarci all’ultimo mese), così come quelle per le quali tocca
scrivere che anche ai migliori, cioè al Cholo, capita di
sbagliare. Basta, più in generale, dare uno sguardo alla Liga: nel
solo girone di andata si sono registrate le stesse sconfitte di tutto
il campionato scorso.
Se
fino a poco tempo fa si poteva parlare di inevitabili difficoltà
legate ai cambiamenti tattici, ora diventa difficile sostenere questa
tesi. Semplicemente, all’Atletico capita di non essere la stessa
squadra di pochi giorni prima.
Come
qualcuno faceva notare nei commenti a un precedente post, lo scarto
tra il derby vinto e la prestazione di Vigo non può dipendere solo
dal fisiologico affaticamento del periodo gennaio-febbraio e così la
differenza tra la gara contro l’Almeria e questa. A Leverkusen i
colchoneros sono stati surclassati in tutto, sul piano del
gioco, su quello della concentrazione e su quello della corsa. Come
ha riconosciuto il Cholo, è una fortuna che abbiano perso
solo 1-0.
Non
ho nessuna competenza nel campo della preparazione fisica e
non sono tutti i giorni al campo di Majadahonda, quindi non posso
giudicare il lavoro svolto dal profe Ortega, che dicono tutti
essere ottimo e che tale pare anche a me. Però una cosa me la
chiedo. Probabilmente il lavoro viene pianificato prima di sapere del
calendario (quindi non si poteva sapere che febbraio ci avrebbe
regalato Madrid-Siviglia-Valencia in rapida sequenza), però la data
degli ottavi di Champions’ è nota da sempre: com’è possibile
che, ancora una volta, si arrivi a questo appuntamento col fiatone?
L’anno scorso fortuna volle che ci capitasse il Milan, un ostacolo
non insormontabile (eufemismo) neanche con una condizione fisica
precaria; quest’anno credevo che la situazione si fosse ripetuta
pari pari, visto il livello del Bayer. Invece la realtà è stata
drammaticamente diversa, anche se rimane la possibilità di
raddrizzare l’eliminatoria al Calderon. La decisione di programmare
il calo fisico a gennaio-febbraio è sempre stata spiegata con la
necessità di arrivare in forma alla fase finale della stagione,
quella in cui ogni gara può essere decisiva. L’anno scorso, da
profano, mi posi un’ulteriore domanda e la ripropongo anche
quest’anno: ha senso, se si rischia di non arrivare alla famosa
fase finale? Una volta fuori dalla Coppa del Re e dalla Champions’,
a cosa serve essere in forma ad aprile-maggio? Per la Liga? Con una
partita alla settimana, basta e avanza la preparazione che si può
sviluppare tra una domenica e la successiva e certo, dopo aver
accumulato un notevole ritardo dalle posizioni di testa, non si è in
grado di puntare alla vittoria.
Quel
che maggiormente mi preoccupa, però, è la mentalità. Sembra
quasi che, dopo la vittoria della Liga, la squadra abbia perso la sua
fame. Un fenomeno fisiologico, io credo, che si somma (come ho già
avuto modo di dire) alla volontà di molti dei nostri avversari di
farsi belli sconfiggendo la squadra di moda del momento. Spesso i
colchoneros scendono in campo deconcentrati e molli, in alcuni
casi tirano decisamente a campare nella speranza di piantare la
zampata vincente (è successo anche contro l'Almeria, anche se in
maniera non così evidente). È
una caratteristica che l'Atletico ha sempre avuto, perché questa
storia dell'incredibile organizzazione difensiva e della
concentrazione sempre ai massimi livelli è, in certa parte, un mito
giornalistico (quante volte sono state le qualità dei singoli, da
Courtois a Godin, da Falcao a Diego Costa, questi ultimi specialisti
in “zampate”, a garantire che una strenua e confusa difesa sulla
trequarti lasciasse la nostra porta inviolata o ci permettesse di
raddrizzare partite che sembravano nate male e portate avanti
peggio?). Il problema è che pare essersi acuito in concomitanza col
calo di alcuni giocatori. Anche il Cholo non mi pare
concentrato e incisivo come eravamo abituati a vedere. Naturalmente
c'è chi sostiene che questo si debba alla delusione dell'anno scorso
o anche alle difficoltà ad adattarsi al nuovo tipo di gioco (che
tanto nuovo non è, a mio giudizio, ma tempo al tempo e
spiegherò anche questo), ma io sono convinto che la spiegazione
possa coincidere con la pancia piena dopo anni di successi, anche da
parte di Simeone.
Insomma,
fino all'anno scorso questa squadra sembrava inaffondabile, anche
quando giocava malissimo, e sapeva trarre vantaggio da qualunque
dettaglio, che fosse un colpo di fortuna, un errore degli avversari o
una giocata individuale dei propri giocatori, fino a ribaltare
l'andamento della gara. Quest’anno non si è visto nulla di tutto
questo, né a Leverkusen, né prima.
Inutile
nasconderlo, la squadra non è la stessa; anche perché i giocatori
non sono gli stessi. Per un Godin e un Juanfran che sono forse
addirittura migliorati, per un Griezmann e un Mandzukic che fanno
sconquassi (ma solo a tratti, e scusate se è poco), abbiamo un
Miranda che, tra infortuni ed errori, ci ha già penalizzato
parecchio, un Gabi inguardabile (la vicenda giudiziaria che lo
riguarda l'ha charamente prostrato), un Siqueira che non sarà
Insua, ma neppure molto meglio.
In
particolare, a Leverkusen non si è salvato quasi nessuno, a parte
Godin e, in parte, Gamez. Moyà ha fornito una sensazione
continua di insicurezza (e non è la prima volta, in realtà),
Siqueira non ne parliamo, Tiago ha mostrato un gran nervosismo
e poco altro, Arda sembra entrato nel solito letargo da
seconda parte della stagione (un classico degli ultimi tre anni che,
francamente, ha anche scocciato). Là davanti, il duo è sparito.
Magari
è stata solo questione di sfortuna (in fondo, avremmo potuto segnare
un paio di volte e magari saremmo tornati dalla Germania con un
pareggio o persino con una vittoria, per quanto immeritati: non
sarebbe stata la prima volta, per continuare il discorso fatto
sopra), magari è perché ai nostri avversari è stato permesso di
andarci giù piuttosto duri negli interventi (lo stesso numero di
gialli dei nostri avversari più un rosso per la metà dei loro falli
è in effetti una statistica stravagante...).
Però
la verità è una sola: hanno corso più di noi. Mi verrebbe da dire,
anzi, che hanno corso, punto.
E
qui torniamo al punto di partenza. Ogni volta che gli altri corrono
più di noi, perdiamo. Ogni volta che gli altri ci soffocano col loro
pressing, non sappiamo giocare la palla, non usciamo dalla nostra
trequarti. Olympiakos, Valencia, Real Sociedad, Barcellona,
Villareal, Celta, Bayer: tutte le nostre sconfitte si assomigliano,
c'è poco altro da dire.
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