venerdì 27 febbraio 2015

Bayer Leverkusen – Atletico Madrid 1-0: crisi di identità


Pochi giorni prima della partita di Leverkusen, Alvaro Dominguez, a precisa domanda, rispondeva che non sapeva dire se l’Atletico di quest’anno fosse più forte o più debole di quello dell’anno scorso. Ciò che notava era semplicemente che si tratta di due squadre diverse nel gioco, ma accomunate dalla medesima forza mentale, dalla stessa capacità di concentrazione e dall’uguale voglia di vincere.

Ora, io non so dire se le parole del nostro ex-canterano fossero sincere o viziate dall’affetto verso i nostri colori, d’altra parte è dimostrato che fare il calciatore non significa per forza capire di calcio, ma mi pare chiaro che la risposta non corrispondesse a verità.

Se c’è infatti una cosa che la partita contro il Bayer ci mostra, è senza dubbio che questo Atletico non è affatto quello dell’anno scorso. Non si tratta neppure di tattica (ovviamente non è quello dell’anno scorso), ma di mentalità.
Ormai le partite caratterizzate da un approccio sbagliato si susseguono con discreta regolarità, da Barcellona, al Celta, al Bayer (solo per limitarci all’ultimo mese), così come quelle per le quali tocca scrivere che anche ai migliori, cioè al Cholo, capita di sbagliare. Basta, più in generale, dare uno sguardo alla Liga: nel solo girone di andata si sono registrate le stesse sconfitte di tutto il campionato scorso.

Se fino a poco tempo fa si poteva parlare di inevitabili difficoltà legate ai cambiamenti tattici, ora diventa difficile sostenere questa tesi. Semplicemente, all’Atletico capita di non essere la stessa squadra di pochi giorni prima.

Come qualcuno faceva notare nei commenti a un precedente post, lo scarto tra il derby vinto e la prestazione di Vigo non può dipendere solo dal fisiologico affaticamento del periodo gennaio-febbraio e così la differenza tra la gara contro l’Almeria e questa. A Leverkusen i colchoneros sono stati surclassati in tutto, sul piano del gioco, su quello della concentrazione e su quello della corsa. Come ha riconosciuto il Cholo, è una fortuna che abbiano perso solo 1-0.

Non ho nessuna competenza nel campo della preparazione fisica e non sono tutti i giorni al campo di Majadahonda, quindi non posso giudicare il lavoro svolto dal profe Ortega, che dicono tutti essere ottimo e che tale pare anche a me. Però una cosa me la chiedo. Probabilmente il lavoro viene pianificato prima di sapere del calendario (quindi non si poteva sapere che febbraio ci avrebbe regalato Madrid-Siviglia-Valencia in rapida sequenza), però la data degli ottavi di Champions’ è nota da sempre: com’è possibile che, ancora una volta, si arrivi a questo appuntamento col fiatone? L’anno scorso fortuna volle che ci capitasse il Milan, un ostacolo non insormontabile (eufemismo) neanche con una condizione fisica precaria; quest’anno credevo che la situazione si fosse ripetuta pari pari, visto il livello del Bayer. Invece la realtà è stata drammaticamente diversa, anche se rimane la possibilità di raddrizzare l’eliminatoria al Calderon. La decisione di programmare il calo fisico a gennaio-febbraio è sempre stata spiegata con la necessità di arrivare in forma alla fase finale della stagione, quella in cui ogni gara può essere decisiva. L’anno scorso, da profano, mi posi un’ulteriore domanda e la ripropongo anche quest’anno: ha senso, se si rischia di non arrivare alla famosa fase finale? Una volta fuori dalla Coppa del Re e dalla Champions’, a cosa serve essere in forma ad aprile-maggio? Per la Liga? Con una partita alla settimana, basta e avanza la preparazione che si può sviluppare tra una domenica e la successiva e certo, dopo aver accumulato un notevole ritardo dalle posizioni di testa, non si è in grado di puntare alla vittoria.

Quel che maggiormente mi preoccupa, però, è la mentalità. Sembra quasi che, dopo la vittoria della Liga, la squadra abbia perso la sua fame. Un fenomeno fisiologico, io credo, che si somma (come ho già avuto modo di dire) alla volontà di molti dei nostri avversari di farsi belli sconfiggendo la squadra di moda del momento. Spesso i colchoneros scendono in campo deconcentrati e molli, in alcuni casi tirano decisamente a campare nella speranza di piantare la zampata vincente (è successo anche contro l'Almeria, anche se in maniera non così evidente). È una caratteristica che l'Atletico ha sempre avuto, perché questa storia dell'incredibile organizzazione difensiva e della concentrazione sempre ai massimi livelli è, in certa parte, un mito giornalistico (quante volte sono state le qualità dei singoli, da Courtois a Godin, da Falcao a Diego Costa, questi ultimi specialisti in “zampate”, a garantire che una strenua e confusa difesa sulla trequarti lasciasse la nostra porta inviolata o ci permettesse di raddrizzare partite che sembravano nate male e portate avanti peggio?). Il problema è che pare essersi acuito in concomitanza col calo di alcuni giocatori. Anche il Cholo non mi pare concentrato e incisivo come eravamo abituati a vedere. Naturalmente c'è chi sostiene che questo si debba alla delusione dell'anno scorso o anche alle difficoltà ad adattarsi al nuovo tipo di gioco (che tanto nuovo non è, a mio giudizio, ma tempo al tempo e spiegherò anche questo), ma io sono convinto che la spiegazione possa coincidere con la pancia piena dopo anni di successi, anche da parte di Simeone.
Insomma, fino all'anno scorso questa squadra sembrava inaffondabile, anche quando giocava malissimo, e sapeva trarre vantaggio da qualunque dettaglio, che fosse un colpo di fortuna, un errore degli avversari o una giocata individuale dei propri giocatori, fino a ribaltare l'andamento della gara. Quest’anno non si è visto nulla di tutto questo, né a Leverkusen, né prima.

Inutile nasconderlo, la squadra non è la stessa; anche perché i giocatori non sono gli stessi. Per un Godin e un Juanfran che sono forse addirittura migliorati, per un Griezmann e un Mandzukic che fanno sconquassi (ma solo a tratti, e scusate se è poco), abbiamo un Miranda che, tra infortuni ed errori, ci ha già penalizzato parecchio, un Gabi inguardabile (la vicenda giudiziaria che lo riguarda l'ha charamente prostrato), un Siqueira che non sarà Insua, ma neppure molto meglio.
In particolare, a Leverkusen non si è salvato quasi nessuno, a parte Godin e, in parte, Gamez. Moyà ha fornito una sensazione continua di insicurezza (e non è la prima volta, in realtà), Siqueira non ne parliamo, Tiago ha mostrato un gran nervosismo e poco altro, Arda sembra entrato nel solito letargo da seconda parte della stagione (un classico degli ultimi tre anni che, francamente, ha anche scocciato). Là davanti, il duo è sparito.
Magari è stata solo questione di sfortuna (in fondo, avremmo potuto segnare un paio di volte e magari saremmo tornati dalla Germania con un pareggio o persino con una vittoria, per quanto immeritati: non sarebbe stata la prima volta, per continuare il discorso fatto sopra), magari è perché ai nostri avversari è stato permesso di andarci giù piuttosto duri negli interventi (lo stesso numero di gialli dei nostri avversari più un rosso per la metà dei loro falli è in effetti una statistica stravagante...).
Però la verità è una sola: hanno corso più di noi. Mi verrebbe da dire, anzi, che hanno corso, punto.

E qui torniamo al punto di partenza. Ogni volta che gli altri corrono più di noi, perdiamo. Ogni volta che gli altri ci soffocano col loro pressing, non sappiamo giocare la palla, non usciamo dalla nostra trequarti. Olympiakos, Valencia, Real Sociedad, Barcellona, Villareal, Celta, Bayer: tutte le nostre sconfitte si assomigliano, c'è poco altro da dire.

Nessun commento:

Posta un commento