Natale
ha portato la sorpresa che tutti ci aspettavamo, ovverosia la cacciata di
Manzano e l’arrivo del “Cholo” Simeone, che ha ottenuto un contratto per un
anno e mezzo. Ormai inevitabile l’allontanamento del Goyo, mentre fino
all’ultimo si è temuto che sulla panchina dei colchoneros potesse sedersi
l’ennesimo prodotto “made in Mendes”, Felipao Scolari. Non che io fossi
contrario a priori, ma l’idea che la panchina finisse in mano a uno che avrebbe
dovuto ridursi lo stipendio (facendoci la carità?) e che, almeno a livello di
club, non ha dimostrato granché , non mi piaceva molto. Sarebbe sembrata una
mossa del tipo “per tornare in Europa una porta qualunque va bene”: qualcosa di
accettabile solo se l’allenatore in questione fosse di caratura superiore. Se
no, meglio puntare su un giovane voglioso e capace (e dalle pretese economiche
decisamente meno pesanti), tanto più se conosce già l’ambiente.
Della
gestione Manzano non c’è
molto da dire, perlomeno sul piano dei risultati e del gioco. Tutti i post
pubblicati finora ne parlano diffusamente. Personalmente, mi sento di fare
ammenda: ci avevo creduto. Le parole dette dal Goyo mi parevano convincenti,
l’uomo, sia pure preso come ultima risorsa, mi sembrava, per esperienze, un
“Aragones in piccolo”, per di più conoscitore dell’ambiente e quindi capace di
resistere alle mattane tipiche dell’Atletico.
Ho
avuto i primi dubbi quando ha avallato tutte le scelte di mercato e ha sostenuto che non ci fosse bisogno di Borja Valero. Poi, dopo qualche partita
cautamente incoraggiante, il continuo insistere su un turn over esasperato, che, se poteva essere giustificato dalle
differenti condizioni fisiche di giocatori arrivati in momenti diversi e in
molti casi fuori forma, non era certo il miglior viatico per assimilare il
sistema di gioco che (a parole) Manzano perseguiva. E ancora l’incapacità di
dare carattere a una squadra apparsa
spesso molle e svogliata, nonché infarcita di molte primedonne. D’altra parte,
il primo a non dimostrare carattere è stato Manzano stesso, che ha insistito su
alcuni giocatori, salvo poi ripescarne altri senza motivi apparenti; che ha
mostrato una incredibile faccia tosta
nelle dichiarazioni alla stampa, quando sosteneva cose invisibili sul campo
(gioco sulle fasce, velocità, modello-Barcellona, volontà di imporre il proprio
gioco sempre e comunque and so on…);
che si è trincerato in panchina evitando il confronto quando ormai la
situazione era compromessa. È colpa sua, e non potrebbe essere diversamente, se
l’Atletico nella Liga ha ottenuto 1
punto su 21 in trasferta (peggior risultato di tutti i campionati europei
di spessore). È colpa sua l’assoluta mancanza di fiducia nei canteranos, che forse non saranno
granché, ma il cui lancio certo era stato annunciato come uno degli obiettivi
fondamentali della stagione.
E
qui però entra in gioco la società,
ovverosia il penoso trio Gil, Cerezo, Caminero. Che quella dei canteranos fosse una bufala, è apparso
evidente quando il club, al posto di investire su Joel, ha insistito per avere Courtois,
per di più con un contratto-capestro che prevede l’obbligo di fargli giocare il
70% delle partite. Il ragazzo è bravo, ma non ho ancora trovato nessuno che
dica il contrario riguardo a Joel (che anzi fino a un paio di anni fa era
considerato meglio di De Gea). Altri sono stati venduti con leggerezza (Keko) o
mandati in prestito a squadre scelte a caso (Merida); altri ancora sono rimasti
a marcire in panchina per far spazio a gente che probabilmente non è migliore
di loro (Koke, Pulido). Se veramente si vuole investire sui ragazzi, il lavoro
deve essere capillare a tutti i livelli. Altrimenti si dice chiaramente che si
punta a fare cassa vendendo giovani calciatori in stock e non si illude
nessuno, né tra i ragazzi né tra i tifosi. Ribadisco comunque quanto avevo già
detto a inizio stagione.
Aggiungiamoci
che la primadonna per eccellenza, Reyes,
non è stata affatto rimessa in riga nel suo assurdo braccio di ferro con
Manzano: una società seria avrebbe “appeso al muro” questo tronfio infingardo;
invece quasi sicuramente sarà omaggiato con un ritorno a casa a prezzo di
saldo. Gli scontri allenatore-giocatore tecnicamente dotato che si concludono
poi la vendita del secondo e la cacciata del primo sono all’ordine del giorno
in società (Quique - Forlan è stato l’ultimo caso): è solo stupidità nella
gestione dei rapporti con (e tra) il personale o c’è del dolo?
E
qui siamo all’altra grande colpa della società: l’incapacità di gestire il mercato e di sviluppare un progetto
serio. Reyes, giocatore valutato in estate 12 milioni di euro, se ne andrà per
3,5, quando perfetti sconosciuti sono arrivati quest’estate per 5 o 6 (Ruben
Micael, chi era costui?). Sarà anche un pigro strafottente, ma, per caratura
tecnica e risultati (quando è in buona), dovrebbe valere molto di più. Silvio,
per me un ottimo acquisto, è arrivato praticamente “rotto”. Possibile che non
se ne sia accorto nessuno?
La
squadra vincitrice dell’Europa League
e della Supercoppa 2010 (per quanto secondo me sopravvalutata) è stata smontata
pezzo a pezzo. I grandi sono stati venduti a prezzi stracciati (a proposito,
possibile che un Reyes ancora giovane valga meno di un più attempato Forlan?),
le “schiappe” sono rimaste. Per quanto mi riguarda, gridano ancora vendetta le
vendite di Ujfalusi e Forlan (e forse di Jurado, che io avrei
tenuto ancora un po’), due che avrebbero fatto comodo, per esperienza e
carattere, e di cui si sente la mancanza.
Invece
sono arrivati giocatori in prestito
(e qui non mi scandalizzo, perché anche il Milan, ovverosia una grande
d’Europa, fa largo uso di questa modalità) e acquisti dell’ultimo minuto, che hanno sconvolto i ritmi di
preparazione della squadra (della condizione fisica non mi sento perciò di fare
una colpa a Manzano). Alcuni con quotazioni francamente esagerate: a me Pizzi
piace, ma il riscatto a 15 milioni mi sembra fuori dal mondo, soprattutto se
comparato al valore di altri (e si ritorna al “caso Reyes”…).
Così,
mentre la società si balocca con lo stadio della Peineta, un gingillo da 70mila posti per un club che quasi sempre
non supera le 45mila presenze a partita, il futuro di alcuni tra i pezzi chiave
della squadra (Courtois e Diego) è ancora tutto da scrivere. Tra l’altro,
nessuno ha considerato l’orrenda ipotesi che il nuovo stadio potrebbe essere
intitolato a Jesus Gil y Gil?
Perché, secondo me, questi ne avrebbero il coraggio…
Per
fortuna è arrivato Simeone.
Accolto come un messia da molti. Contestato da altri, che gli rinfacciano le
peggiori nefandezze, dall’essere il nuovo scudo del Gilismo all’aver causato la
retrocessione del River Plate (ma per favore! Perché tutti possono lasciare
commenti in calce agli articoli, anche gli evidenti idioti?). Io so solo che il
suo Catania, preso in cattive acque, ha ottenuto il miglior piazzamento in
serie A della sua storia; che ha vinto due campionati in Argentina; che il suo
Racing avrà anche giocato male, ma era tignoso, aggressivo ed è arrivato
secondo pur disponendo di giocatori non eccelsi.
In
più tra le sue dichiarazioni alcune mi hanno colpito in positivo:
- Pretenderà un massimo di due tocchi da ciascuno (chissà come reagirà Diego…) e un gioco maggiormente sviluppato sulle fasce
- Ai canterani sarà data un’opportunità, se verranno ritenuti pronti
- Chi non è motivato, se ne può anche andare
Mi
piace meno il fatto che abitualmente giochi con un 4-2-3-1 che farebbe supporre
una rinuncia ad Adrian, ma qui siamo nel campo delle ipotesi, per cui è inutile
parlarne.
Aggiungo
che non solo Simeone è un vero colchonero (cosa che non fa mai male, se sei uno
preparato), ma è anche uno che non le manda a dire: secondo me viene per fare
bene e non accetterà di fare da scudo umano al Gilifato. E poi non credo che
tra Cerezo e Simeone il Calderon sceglierà il primo; anzi è più probabile che
la società sarà lo scudo umano del “Cholo”, con tutto quanto ne consegue.
Infine
lo Sporting Lisbona. Da tempo
meditavo di confrontare la situazione della squadra di Lisbona con la nostra,
poi Elias ha rilasciato le dichiarazioni che sapete e mi ha distrutto la
sorpresa. Pazienza! Personalmente le dichiarazioni del brasiliano non mi hanno
minimamente offeso e, se vorrete seguirmi ancora cinque minuti, capirete il
perché.
Alla
fine dello scorso campionato, lo Sporting, la terza grande portoghese, la seconda
squadra della capitale, era una squadra in crisi nera. La nuova
dirigenza uscita dalle elezioni
di agosto ha preso la decisione coraggiosa ma obbligata di rivoluzionare tutto:
un direttore sportivo abile e
astuto, un nuovo allenatore giovane
e capace (Domingos), molti nuovi giocatori
scelti per le loro capacità e non per il nome, l’allontanamento di
giocatori e tecnici sopravvalutati. Ora la squadra vince, convince (dopo
qualche prova iniziale di rodaggio) e, pur senza probabilmente avere reali
possibilità di vincere la Liga, è matematicamente in corsa, oltre a poter
teoricamente vincere ancora tutte le competizioni cui partecipa.
Nessuno
coglie le analogie al contrario con la nostra situazione? Nella stessa situazione
abbiamo fatto l’esatto contrario e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Qualcuno
di voi è mai stato in visita all’Alvalade? Io sì. E vi assicuro che, per
accoglienza e attenzione a visitatori e tifosi, non c’è paragone col Calderon.
Poi non stupiamoci e non offendiamoci se Elias
dice la verità, tutta la verità,
nient’altro che la verità.
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