sabato 1 febbraio 2014

Addio al più grande




Avrei voluto scrivere della vittoria di Bilbao, del ritorno di Diego, delle prospettive, tattiche e sportive, per la seconda parte della stagione. Avrei voluto, appunto.


Ma poi ho letto della morte di Don Luis Aragones.


E questo è il post che mai avrei voluto scrivere, quello che mi dà più dolore.
Perchè Luis Aragones non è semplicemente stato un grande giocatore dell'Atletico, con 372 presenze in biancorosso; non detiene soltanto il record di gol segnati coi colchoneros, 172 tra tutte le competizioni.
È stato l'Atletico Madrid.


C'era nella notte di Bruxelles, quando invitò i compagni a non farsi abbattere e a pensare alla partita successiva. C'era quando al Calderon l'Independiente venne battuta 2-0 e ci laureammo campioni del mondo. C'era quando l'Atletico fu promosso di nuovo in Prima Divisione. C'era quando tornammo a vincere, nel 1985, dopo anni di disastro tecnico, morale e sportivo. C'era ancora, sempre lui, quando nel 1992 saccheggiammo il Bernabeu con una squadra fantastica e sembrammo finalmente riuscire a costruire qualcosa nella palude del Gilismo.


Quest'uomo brusco, diretto, amante “dei tori, della televisione, dei libri e del teatro”, capace di affrontare umiliazioni e insulti pur di difendere le proprie idee e di fare ciò che riteneva giusto, se n'è andato così, a 75 anni, in silenzio, come piaceva a lui, che non ha mai amato le parole inutili buone solo per mettersi in mostra. Lui, che della vita a schiena dritta aveva fatto il suo credo. Lui, che credeva che la sua rotta fosse tracciata solo dalla faccia onesta che, la sera, avrebbe visto nello specchio.
Lui, che non ha esitato a dire più volte, con chiarezza, che gli attuali padroni del club sono una sciagura, quegli stessi miserabili che, dopo averlo allontanato per le sue parole, ora raccontano urbi et orbi del loro splendido rapporto con Luis.


Di fronte a una notizia così, non ci sono altre parole. Sentiamo solo di aver perso una parte della nostra identità, un faro di rigore e onestà nel buio di un mondo piagato da opportunisti, ipocriti e inetti.
Mi piace pensare che, prima di lasciarci, abbia volto un'ultima volta i suoi pensieri alla squadra in cui amava dire di essere “cresciuto e diventato uomo”.


A lui non posso dedicare altro che le parole di un altro grande colchonero, il portiere Miguel San Romàn:  
Non concepisco la mia vita senza l'essere stato parte dell'Atletico Madrid”

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