venerdì 21 febbraio 2014

Milan – Atletico Madrid 0-1: cronache dall’altro mondo


Vado sin da quando ero bambino a San Siro. Sarà per questo che, quando mi dicono che è imponente, che mette in soggezione, rimango sempre un po’ perplesso, perché non riesco a capire cosa vogliano veramente dire. Un calciatore professionista non è, appunto, un professionista? Non dovrebbe essere abituato, almeno a certi livelli, a frequentare posti come il Camp Nou e il Bernabeu? Davvero San Siro può intimidire al punto tale da mandare in confusione una squadra capace di uscire dal Das Antas con tre punti?
Lo dico perché davvero non mi capacito di quanto ho letto in più blog e in più giornali, ovvero che, sulla mediocre prestazione dei colchoneros di mercoledì, abbia influito il famoso miedo escenico: in fondo, San Siro è lo stadio in cui il Real Madrid non ha mai vinto e anche il Barcellona, il todopoderoso Barça, se l’è vista brutta. “E allora?”, mi viene da pensare. È davvero credibile che gente in grado di sbancare per due volte il Bernabeu in pochi mesi e di far ammutolire il Camp Nou abbia provato un disagio tale da non giocare praticamente per quasi tutto il primo tempo? Che si sia trovata in un altro mondo, quello in cui la paura taglia le gambe ai bucanieri e stronca il coraggio di filibustieri spietati?

Perché a me è parso che le cose siano andate un po’ diversamente: il miglior Milan della stagione (ed è tutto dire, perché i rossoneri sono stati appena più che sufficienti, e solo per un tempo, checché ne dicano i deliranti giornalisti italiani) ha quasi messo sotto, almeno per un po’, un Atletico molto lontano dalla propria dimensione, ma poi, alla fine, non solo non è riuscito nell’intento, ma ha capitolato in maniera degna della sua mediocrità non appena i colchoneros hanno trovato un minimo di ratio in campo.
In fondo ad aver cominciato di gran carriera, con piglio e grinta, erano stati i biancorossi, che si erano presentati davanti alla porta di Abbiati dopo neanche un minuto. Arda Turan pareva indiavolato, Costa metteva in costante ansia l’oscena coppia Bonera-Rami, Gabi manteneva alta la linea di centrocampo e corti i reparti.

Tutto perfetto, dunque. Neanche il tempo di pensare che i ragazzi sembravano in palla, che la partita cambiava improvvisamente volto: il “casino (pseudo-)organizzato” di Seedorf creava, inevitabilmente, una certa pressione tra centrocampo e difesa dei colchoneros, soprattutto nelle aree esterne della trequarti. Sulla destra, Juanfran e Koke reggevano abbastanza la pressione; sulla sinistra, la strana coppia Insua-Arda si rivelava debolissima in interdizione, a causa della svogliatezza del turco e della papabile incapacità dell’argentino. In un attimo, come una scossa percorreva i colchoneros, diventati improvvisamente consapevoli di una vulnerabilità nella zona sinistra cui non erano abituati (ah, Filipe Luis, TORNA appena puoi!!!). Questo generava un effetto domino: Gabi e un pessimo Mario retrocedevano per essere pronti a intervenire nella zona debole, ma lasciavano così maggior spazio agli attacchi centrali dei rossoneri, abili a sfruttare un altro dei punti deboli (questa volta, per così dire, “storico”) dell’Atletico; Koke, temendo di risultare isolato, a sua volta retrocedeva, bloccando Juanfran in una posizione dalla quale non incideva né in avanti né in difesa; Diego Costa rimaneva solo in avanti, in attesa di palloni che non arrivavano e mai sarebbero arrivati, mentre Raul Garcia finiva a sua volta in mezzo al guado, schiacciato tra la consegna di rimanere davanti per sostenere l’attacco e/o far salire la squadra e l’istinto che lo spingeva a scalare verso il centro del campo per aiutare i compagni. Il navarro finiva per non fare né l’una né l’altra cosa (anche perché non ha la velocità e la visione di gioco necessarie a compiere movimenti di questo tipo senza il sostegno dei compagni) e la nave, zavorrata dalla catena di mancanze sopra descritte, sbandava pesantemente.
Per fortuna di tutti c’era Courtois a mantenere la testa ben salda sulle spalle, mentre intorno a lui, contagiati dal terrore e dai movimenti inconsulti di Insua, franavano quasi tutti e Miranda e Godin tentavano disperatamente di far uscire la palla dall’area in qualunque modo possibile: con una serie di parate prodigiose salvava la porta dei colchoneros e permetteva ai ragazzi di Simeone di arrivare incolumi alla fine del primo tempo. Un primo tempo nel quale la palla era stata sistematicamente sparacchiata in avanti e in cui, nelle rare giocate corali, nessuno aveva compiuto un’accelerazione che fosse una, o un movimento a smarcarsi o qualcosa che si discostasse dalla staticità più assoluta.

La partita dell'Atletico nei primi 45 minuti: evidentissima l'area di sofferenza sulla treqaurti di centro-sinistra


Non vi dico, a quel punto, l’ansia e lo sconforto che ho provato: tutto intorno a me era un fiorire di commenti sarcastici sulla nostra fortuna, sulla nostra mediocrità di squadra catenacciara, sulla violenza e sul gioco sporco dei nostri giocatori (e qui, in effetti…). Tutto uno stupore sulla nostra posizione nella Liga: credo che qualcuno abbia anche avanzato l’ipotesi che, se il Milan avesse giocato nel campionato spagnolo, avrebbe potuto tranquillamente essere primo. Il fatto che io non abbia reagito a questa suprema cazzata come meritava, ma me ne sia stato accucciato sul seggiolino a tormentare la sciarpa e a pregare per un miserabile 0-0, spiega molto più di tante parole lo stato di prostrazione in cui il penoso spettacolo del primo tempo mi aveva gettato. Sono abbastanza sicuro che, tutto intorno a me, a tutti voi che eravate sulle gradinate in mezzo ai milanisti, sia accaduto più o meno lo stesso. A quanto ne so, il tono dei commenti televisivi era più o meno lo stesso.

Dico la verità, io a quel punto avrei inserito Diego, sperando che fosse in giornata di grazia e riuscisse a tenere quella benedetta palla e, magari, a trovare quegli spazi che il Milan prima o poi avrebbe concesso. Perché è vero che l’ottima prova difensiva di De Jong ed Essien, unita alla costante attenzione di tutti i reparti nel rimanere corti e al movimento continuo dei quattro davanti, aveva messo in crisi i Colchoneros; però è altrettanto assodato che non ci si inventa maestri in un giorno e che il Milan, prima o poi, si sarebbe disunito e avrebbe mostrato i segni dell’inevitabile stanchezza, mentale prima ancora che fisica, di chi si sforza di fare scolasticamente ciò di cui non ha esatta percezione. Oltre al fatto che, cambiato il modulo di gioco, i (mediocri) giocatori continuano fondamentalmente a rimanere gli stessi.

Però il Cholo non era affatto dello stesso avviso: stesso allineamento, solo con Raul Garcia spinto a scendere quasi sulla linea dei due centrocampisti centrali, in un 4-2-3-1 in cui il navarro aveva libertà di scambiarsi la posizione con lo spaesato Arda, per così coprire meglio il groviera che era la nostra fascia sinistra.

Così come era arrivata, allora, la tempesta passava, man mano che il Milan, di fronte a un Atletico finalmente tetragono, perdeva consistenza e vivacità. A quel punto, riequilibrata la gara, Simeone inseriva Rodriguez, cioè un'ala veloce che allargasse il gioco e puntasse direttamente verso l'area, puntando sul totale spaesamento di Abate, un altro che ai tempi di Sacchi e Capello avrebbe tagliato l'erba di Milanello e nulla più. Dopo poco, vista la tendenza dei rossoneri a sfaldarsi, Simeone decideva di giocarsi il tutto per tutto, mettendo in campo Adrian, nel tentativo di aumentare la pressione lungo tutto il fronte d'attacco. 

La partita dell'Atletico nel secondo tempo: gioco più equilibrato e difesa a tutto campo
 

A un certo punto, era ben chiaro chi puntava al pareggio e chi no: Balotelli sostituito usciva dal campo con lentezza esasperante; Raul Garcia volava verso la panchina e segnalava a tutti che l'Atletico era lì, disposto a provarci fino all'ultimo. E finalmente l'altro mondo, quello in cui il cuore di noi tutti aveva tremato e (ebbene sì, lo confesso) ci aveva sussurrato “Ma che c... ci sei venuto a fare??”, spariva per lasciare il posto ai nostri incommensurabili bucanieri: quelli che non affondano mai, quelli che non perdono mai la testa, quelli che corner-di-Gabi-testa-di-Diego-Costa-GOL! E tanti saluti ai sognatori che, al momento della verità, si perdono dietro alle chimere, invece di strangolare la partita.

A quel punto, che gran soddisfazione, in piedi sui gradoni, veder sfollare i 70mila di San Siro, increduli, abbacchiati. Li capisco, davvero: non ci conoscevano, molti di loro non sapevano neppure che a Madrid ci fosse un'altra squadra e comunque, siccome non guardano mai al di là dei nostri confini, non sanno neanche a che livello miserabile sia giunto il calcio italiano.

Non potevano immaginare che i nostri, stringendo i denti e ringraziando la Fortuna, erano riusciti a tornare nel nostro mondo, quello in cui riescono sempre a fare ciò che gli riesce meglio, ovverosia combattere fino oltre il novantesimo e approfittare di ogni errore degli avversari.
Si chiama CHOLISMO, signori. Non si impara in tre giorni da uno che ha smesso di giocare ieri e oggi si crede un grande allenatore solo perchè l'ha detto il capo.

Si chiama CHOLISMO e noi ce l'abbiamo dentro.



Note positive
Courtois: senza la sua fenomenale prestazione non so come sarebbe andata la partita, perchè è vero che siamo inaffondabili, ma è vero anche che due mesi fa eravamo a un altro, straordinario, livello. Tra lo stupore dei miei compagni di settore, para ogni pallone e il bello, in realtà, è che loro non lo sanno, ma è qualcosa che il nostro Thibault fa molto spesso.

Diego Costa: si sbatte alla morte per la squadra e poi, al momento giusto, è abbastanza lucido da imprimere il suo sigillo sul match. Certo, non azzecca un tiro da trenta metri ogni venti giornate di campionato, ma c'è sempre quando serve: oddio, vuoi vedere che è questo il motivo per cui i giornali italiani ne parlano così poco?


Note negative
Insua: scandaloso è un eufemismo dettato dal mio buon cuore. Vorrei dilungarmi in una analisi tecnica di spessore, ma non ce la faccio. Continua a venirmi in mente la sgradevole sensazione che il club abbia veramente buttato in un water i 3,5 milioni spesi per acquistarlo.
La partita di Insua: notare la quantità di retropassaggi e il fatto che la quasi totalità dei passaggi in profondità risultano sbagliati.


Arda: la sua partita dura otto minuti. Ormai è assodato, gioca solo quattro mesi all'anno, poi scompare. L'anno scorso la cosa si era notata meno perchè si infortunò proprio in questo periodo, ma quest'anno mi pare veramente eclatante la sua mancanza di continuità.
La partita di Arda Turan: quasi nessun passaggio in profondità
 




Milan: Abbiati; De Sciglio (Abate, m. 26), Rami, Bonera, Emanuelson; De Jong, Essien; Poli (Constant, m. 84), Kaká, Taarabt; y Mario Balotelli (Pazzini, m. 77). No utilizados: Amelia; Mèxes, Zaccardo y Petagna.


Atlético: Courtois 9; Juanfran 5, Miranda 6, Godín 6, Insua 3; Gabi 6, Mario Suárez 5; Koke 5, Raúl García 6 (Adrián, m. 79 sv), Arda Turan 4 (Cebolla Rodríguez, m. 74 6); y Diego Costa 7,5.
No utilizados: Aranzubia; Alderweireld, Diego, Sosa y Villa.



Gol: 0-1. M. 83. Diego Costa.
Árbitro: Pedro Proença (Portugal). Mostró tarjeta amarilla a  Insua, Mario Suárez, Abate, Bonera, Diego Costa, Rami y Adrián.
Unos 75.000 espectadores en el estadio de San Siro.

2 commenti:

  1. Articolo da pelle d'oca! Grande Dan!
    Concordiamo anche su Insua ... me lo sono dovuto sopportare a Liverpool grazie a Benitez ed ora me lo ritrovo anche a Madrid ... è la mia spina nel fianco!

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  2. Insua ha collezionato tre grandi europee: Liverpool, Sporting Lisbona e Atlético. Come abbia fatto, non lo so proprio. Mi pare fantascienza... Ogni tanto mi sorprendo a pensare che l'unica vera differenza tra me e lui è che io non sono mancino... :)

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