Vado
sin da quando ero bambino a San Siro. Sarà per questo che, quando mi
dicono che è imponente, che mette in soggezione, rimango sempre un
po’ perplesso, perché non riesco a capire cosa vogliano veramente
dire. Un calciatore professionista non è, appunto, un
professionista? Non dovrebbe essere abituato, almeno a certi livelli,
a frequentare posti come il Camp Nou e il Bernabeu? Davvero San Siro
può intimidire al punto tale da mandare in confusione una squadra
capace di uscire dal Das Antas con tre punti?
Lo
dico perché davvero non mi capacito di quanto ho letto in più blog
e in più giornali, ovvero che, sulla mediocre prestazione dei
colchoneros di mercoledì, abbia influito il famoso miedo
escenico: in fondo, San Siro è lo stadio in cui il Real Madrid
non ha mai vinto e anche il Barcellona, il todopoderoso Barça,
se l’è vista brutta. “E allora?”, mi viene da pensare. È
davvero credibile che gente in grado di sbancare per due volte il
Bernabeu in pochi mesi e di far ammutolire il Camp Nou abbia provato
un disagio tale da non giocare praticamente per quasi tutto il primo
tempo? Che si sia trovata in un altro mondo, quello in cui la paura
taglia le gambe ai bucanieri e stronca il coraggio di filibustieri
spietati?
Perché
a me è parso che le cose siano andate un po’ diversamente: il
miglior Milan della stagione (ed è tutto dire, perché i rossoneri
sono stati appena più che sufficienti, e solo per un tempo, checché
ne dicano i deliranti giornalisti italiani) ha quasi messo sotto,
almeno per un po’, un Atletico molto lontano dalla propria
dimensione, ma poi, alla fine, non solo non è riuscito nell’intento,
ma ha capitolato in maniera degna della sua mediocrità non appena i
colchoneros hanno trovato un minimo di ratio in campo.
In
fondo ad aver cominciato di gran carriera, con piglio e grinta, erano
stati i biancorossi, che si erano presentati davanti alla porta di
Abbiati dopo neanche un minuto. Arda Turan pareva indiavolato, Costa
metteva in costante ansia l’oscena coppia Bonera-Rami, Gabi
manteneva alta la linea di centrocampo e corti i reparti.
Tutto
perfetto, dunque. Neanche il tempo di pensare che i ragazzi
sembravano in palla, che la partita cambiava improvvisamente volto:
il “casino (pseudo-)organizzato” di Seedorf creava,
inevitabilmente, una certa pressione tra centrocampo e difesa dei
colchoneros, soprattutto nelle aree esterne della trequarti. Sulla
destra, Juanfran e Koke reggevano abbastanza la pressione; sulla
sinistra, la strana coppia Insua-Arda si rivelava debolissima in
interdizione, a causa della svogliatezza del turco e della papabile
incapacità dell’argentino. In un attimo, come una scossa
percorreva i colchoneros, diventati improvvisamente consapevoli di
una vulnerabilità nella zona sinistra cui non erano abituati (ah,
Filipe Luis, TORNA appena puoi!!!). Questo generava un effetto
domino: Gabi e un pessimo Mario retrocedevano per essere pronti a
intervenire nella zona debole, ma lasciavano così maggior spazio
agli attacchi centrali dei rossoneri, abili a sfruttare un altro dei
punti deboli (questa volta, per così dire, “storico”)
dell’Atletico; Koke, temendo di risultare isolato, a sua volta
retrocedeva, bloccando Juanfran in una posizione dalla quale non
incideva né in avanti né in difesa; Diego Costa rimaneva solo in
avanti, in attesa di palloni che non arrivavano e mai sarebbero
arrivati, mentre Raul Garcia finiva a sua volta in mezzo al guado,
schiacciato tra la consegna di rimanere davanti per sostenere
l’attacco e/o far salire la squadra e l’istinto che lo spingeva a
scalare verso il centro del campo per aiutare i compagni. Il navarro
finiva per non fare né l’una né l’altra cosa (anche perché non
ha la velocità e la visione di gioco necessarie a compiere movimenti
di questo tipo senza il sostegno dei compagni) e la nave, zavorrata
dalla catena di mancanze sopra descritte, sbandava pesantemente.
Per
fortuna di tutti c’era Courtois a mantenere la testa ben salda
sulle spalle, mentre intorno a lui, contagiati dal terrore e dai
movimenti inconsulti di Insua, franavano quasi tutti e Miranda e
Godin tentavano disperatamente di far uscire la palla dall’area in
qualunque modo possibile: con una serie di parate prodigiose salvava
la porta dei colchoneros e permetteva ai ragazzi di Simeone di
arrivare incolumi alla fine del primo tempo. Un primo tempo nel quale
la palla era stata sistematicamente sparacchiata in avanti e in cui,
nelle rare giocate corali, nessuno aveva compiuto un’accelerazione
che fosse una, o un movimento a smarcarsi o qualcosa che si
discostasse dalla staticità più assoluta.
La partita dell'Atletico nei primi 45 minuti: evidentissima l'area di sofferenza sulla treqaurti di centro-sinistra |
Non
vi dico, a quel punto, l’ansia e lo sconforto che ho provato: tutto
intorno a me era un fiorire di commenti sarcastici sulla nostra
fortuna, sulla nostra mediocrità di squadra catenacciara, sulla
violenza e sul gioco sporco dei nostri giocatori (e qui, in
effetti…). Tutto uno stupore sulla nostra posizione nella Liga:
credo che qualcuno abbia anche avanzato l’ipotesi che, se il Milan
avesse giocato nel campionato spagnolo, avrebbe potuto
tranquillamente essere primo. Il fatto che io non abbia reagito a
questa suprema cazzata come meritava, ma me ne sia stato accucciato
sul seggiolino a tormentare la sciarpa e a pregare per un miserabile
0-0, spiega molto più di tante parole lo stato di prostrazione in
cui il penoso spettacolo del primo tempo mi aveva gettato. Sono
abbastanza sicuro che, tutto intorno a me, a tutti voi che eravate
sulle gradinate in mezzo ai milanisti, sia accaduto più o meno lo
stesso. A quanto ne so, il tono dei commenti televisivi era più o
meno lo stesso.
Dico
la verità, io a quel punto avrei inserito Diego, sperando che fosse
in giornata di grazia e riuscisse a tenere quella benedetta palla e,
magari, a trovare quegli spazi che il Milan prima o poi avrebbe
concesso. Perché è vero che l’ottima prova difensiva di De Jong
ed Essien, unita alla costante attenzione di tutti i reparti nel
rimanere corti e al movimento continuo dei quattro davanti, aveva
messo in crisi i Colchoneros; però è altrettanto assodato che non
ci si inventa maestri in un giorno e che il Milan, prima o poi, si
sarebbe disunito e avrebbe mostrato i segni dell’inevitabile
stanchezza, mentale prima ancora che fisica, di chi si sforza di fare
scolasticamente ciò di cui non ha esatta percezione. Oltre al fatto
che, cambiato il modulo di gioco, i (mediocri) giocatori continuano
fondamentalmente a rimanere gli stessi.
Però
il Cholo non era affatto dello stesso avviso: stesso allineamento,
solo con Raul Garcia spinto a scendere quasi sulla linea dei due
centrocampisti centrali, in un 4-2-3-1 in cui il navarro aveva
libertà di scambiarsi la posizione con lo spaesato Arda, per così
coprire meglio il groviera che era la nostra fascia sinistra.
Così
come era arrivata, allora, la tempesta passava, man mano che il
Milan, di fronte a un Atletico finalmente tetragono, perdeva
consistenza e vivacità. A quel punto, riequilibrata la gara, Simeone
inseriva Rodriguez, cioè un'ala veloce che allargasse il gioco e
puntasse direttamente verso l'area, puntando sul totale spaesamento
di Abate, un altro che ai tempi di Sacchi e Capello avrebbe tagliato
l'erba di Milanello e nulla più. Dopo poco, vista la tendenza dei
rossoneri a sfaldarsi, Simeone decideva di giocarsi il tutto per
tutto, mettendo in campo Adrian, nel tentativo di aumentare la
pressione lungo tutto il fronte d'attacco.
La partita dell'Atletico nel secondo tempo: gioco più equilibrato e difesa a tutto campo |
A
un certo punto, era ben chiaro chi puntava al pareggio e chi no:
Balotelli sostituito usciva dal campo con lentezza esasperante; Raul
Garcia volava verso la panchina e segnalava a tutti che l'Atletico
era lì, disposto a provarci fino all'ultimo. E finalmente l'altro
mondo, quello in cui il cuore di noi tutti aveva tremato e (ebbene
sì, lo confesso) ci aveva sussurrato “Ma che c... ci sei venuto a
fare??”, spariva per lasciare il posto ai nostri incommensurabili
bucanieri: quelli che non affondano mai, quelli che non perdono mai
la testa, quelli che corner-di-Gabi-testa-di-Diego-Costa-GOL! E tanti
saluti ai sognatori che, al momento della verità, si perdono dietro
alle chimere, invece di strangolare la partita.
A
quel punto, che gran soddisfazione, in piedi sui gradoni, veder
sfollare i 70mila di San Siro, increduli, abbacchiati. Li capisco,
davvero: non ci conoscevano, molti di loro non sapevano neppure che a
Madrid ci fosse un'altra squadra e comunque, siccome non guardano mai
al di là dei nostri confini, non sanno neanche a che livello
miserabile sia giunto il calcio italiano.
Non
potevano immaginare che i nostri, stringendo i denti e ringraziando
la Fortuna, erano riusciti a tornare nel nostro mondo, quello in cui
riescono sempre a fare ciò che gli riesce meglio, ovverosia
combattere fino oltre il novantesimo e approfittare di ogni errore
degli avversari.
Si
chiama CHOLISMO, signori. Non si impara in tre giorni da uno che ha
smesso di giocare ieri e oggi si crede un grande allenatore solo
perchè l'ha detto il capo.
Si
chiama CHOLISMO e noi ce l'abbiamo dentro.
Note
positive
Courtois:
senza la sua fenomenale prestazione non so come sarebbe andata la
partita, perchè è vero che siamo inaffondabili, ma è vero anche
che due mesi fa eravamo a un altro, straordinario, livello. Tra lo
stupore dei miei compagni di settore, para ogni pallone e il bello,
in realtà, è che loro non lo sanno, ma è qualcosa che il nostro
Thibault fa molto spesso.
Note
negative
Insua:
scandaloso è un eufemismo dettato dal mio buon cuore. Vorrei
dilungarmi in una analisi tecnica di spessore, ma non ce la faccio.
Continua a venirmi in mente la sgradevole sensazione che il club
abbia veramente buttato in un water i 3,5 milioni spesi per
acquistarlo.
La partita di Insua: notare la quantità di retropassaggi e il fatto che la quasi totalità dei passaggi in profondità risultano sbagliati. |
Arda:
la sua partita dura otto minuti. Ormai è assodato, gioca solo
quattro mesi all'anno, poi scompare. L'anno scorso la cosa si era
notata meno perchè si infortunò proprio in questo periodo, ma
quest'anno mi pare veramente eclatante la sua mancanza di continuità.
Milan:
Abbiati; De Sciglio (Abate, m. 26), Rami, Bonera, Emanuelson; De
Jong, Essien; Poli (Constant, m. 84), Kaká, Taarabt; y Mario
Balotelli (Pazzini, m. 77). No utilizados: Amelia; Mèxes, Zaccardo y
Petagna.
No utilizados: Aranzubia; Alderweireld, Diego, Sosa y Villa.
Gol: 0-1. M. 83. Diego Costa.
Árbitro: Pedro Proença (Portugal). Mostró tarjeta amarilla a Insua, Mario Suárez, Abate, Bonera, Diego Costa, Rami y Adrián.
Unos 75.000 espectadores en el estadio de San Siro.
Articolo da pelle d'oca! Grande Dan!
RispondiEliminaConcordiamo anche su Insua ... me lo sono dovuto sopportare a Liverpool grazie a Benitez ed ora me lo ritrovo anche a Madrid ... è la mia spina nel fianco!
Insua ha collezionato tre grandi europee: Liverpool, Sporting Lisbona e Atlético. Come abbia fatto, non lo so proprio. Mi pare fantascienza... Ogni tanto mi sorprendo a pensare che l'unica vera differenza tra me e lui è che io non sono mancino... :)
RispondiElimina